Questa notte ad Un Giorno in Pretura verrà mostrata la seconda e ultima parte del processo a Marco Cappato una settimana dopo la prima realizzata sempre all’interno del programma di Roberta Petrelluzzi. Alle ore 00.20 di sabato 7 aprile – dunque tra qualche ora – verrà mostrata la seconda parte dove la Corte di Assise di Milano “inventa” un’anomala decisione per portare alla Consulta il caso intricato di Marco Cappato e Dj Fabo (che trovate nel dettaglio nei paragrafi qui sotto, ndr): giusto in questi giorni è stato però pubblicato l’atto firmato dall’avvocato dello Stato nello schierarsi a fianco della legge “anti-aiuto al suicidio” contro la Corte d’Assise di Milano, di fatto l’ultimissima tappa del processo prima della decisiva scelta finale cui sarà chiamata la Corte Costituzionale. «La questione di costituzionalità sollevata dalla Corte d’Assise di Milano è comunque infondata in quanto la distinta fattispecie incriminatrice dell’aiuto al suicidio, rettamente intesa, ha una sua intrinseca ragionevolezza di sistema e può essere senz’altro conservata senza gli interventi additivi e o correttivi ipotizzati». Infine, il Governo ha voluto stabilire che un possibile arretramento sul fronte della legge che regola l’aiuto al suicidio in Italia provocherebbe una situazione assai pericolosa: «che un sia pur parziale arretramento delle soglie di punibilità, in particolare attraverso l’eliminazione del delitto di aiuto al suicidio potrebbe determinare non auspicabili e pericolosi vuoti di tutela rispetto ad ipotesi del tutto diverse rispetto al tema dell’eutanasia; rischiando, inoltre, di creare quello che la dottrina ha definito in proposito, un pericoloso ‘horror vacui”». Un vuoto normativo cui l’Avvocatura dello Stato e il Governo non vogliono “generare” per andare incontro alle richieste dell’Associazione Coscioni sul caso Dj Fabo. Qui il video della prima puntata de Un Giorno in Pretura sul processo a Marco Cappato
ECCO COSA È SUCCESSO
Al Maurizio Costanzo Show questa sera saranno ospiti Marco Cappato e la fidanzata Fabiano Antoniani per parlare della ben nota vicenda della morte in Svizzera di dj Fabo tramite suicidio assistito e ovviamente del susseguente processo al leader radicale che ha materialmente accompagnato e sostenuto Fabiano fino alla fine. Un percorso umanamente e giudiziariamente molto complesso, anche difficile da riassumere in breve, che vede al centro della questione il diritto o la libertà di decidere fino a che punto “determinare” la propria vita. Inizia tutto nel giugno 2014 quando un giovane e simpatico dj amante della vita e dei viaggio rimane coinvolto in un gravissimo incidente stradale in moto: resta quasi cieco e tetraplegico e i tanti mesi passati in riabilitazione sembrano non dare i frutti sperati. Accanto a lui la mamma, gli amici e soprattutto la fidanzata Valeria Imbrogno che mai lo ha abbandonato in nessuna tappa dell’ultima parte terribile dell’esistenza di Dj Fabo. Antoniani ha deciso di voler morire: è stanco, non ce la fa più e ritiene che quella vita non sia degna di essere vissuta: per questo chiede aiuto ai radicali e all’associazione Luca Coscioni che con Marco Cappato (il tesoriere) inizia un rapporto molto stretto con Fabiano. L’ordinamento italiano impedisce sia il suicidio assistito che l’eutanasia, ma per Dj Fabo questo non basta e soprattutto non va bene: gli appelli per voler morire tramite il consenso della legge trovano (giustamente, dal punto di vista costituzionale) una barriera che “costringe” Fabo a rivolersi ad una clinica svizzera, la Dignitas, dove Cappato lo accompagna per la “dolce morte”.
IL PROCESSO
A quel punto, al ritorno dopo il suicidio assistito del dj tetraplegico, Cappato sa benissimo che quanto fatto da lui è contro la legge italiana e inizia una seconda battaglia, “simbolica”, per poter affermare il proprio credo radicale e autodeterministico. Di ritorno dalla Svizzera, Cappato si costituisce alla procura di Milano e sul reato di aiuto al suicidio iniziano ad indagare i pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini che rappresentano lo Stato nel processo che scatta nel giro di pochi mesi. Qui avviene un’anomalia: l’accusa e la difesa sono concorsi nel ritenere che Cappato non abbia commesso alcun reato, o meglio. I pm chiedono l’assoluzione per non aver commesso il fatto, mentre la difesa chiede di andare fino in fondo per voler dimostrare come la legge italiana debba essere cambiata nel suo ordinamento. Ad avviso dei procuratori, non solo non avrebbe leso dj Fabo ma, al contrario, Cappato l’avrebbe aiutato a morire con dignità mettendo fine a una vita segnata da una malattia irreversibile – pur non terminale, va sempre ricordato per completezza di informazione – e a una sofferenza divenuta intollerabile. «La Procura chiede l’archiviazione del procedimento. Non la pensa però così il Giudice per le indagini preliminari, Luigi Gargiulo, che ordina l’imputazione coatta. Il processo giunge quindi in Corte d’Assise, sempre a Milano, dove di fatto nessuno sostiene l’accusa contro Cappato», riporta l’Avvenire nel focus sulla vicenda Dj Fabo. La Corte di Assise di Milano arriva ad una non decisione: rimanda tutto alla Consulta con un preciso obiettivo, quello di far dichiara l’incostituzionalità del reato di aiuto al suicidio quando questo avvenga su richiesta di una persona molto malata.
LO STATO SI SCHIERA CON LA LEGGE “CONTRO” CAPPATO
E così si arriva ai giorni nostri: è di soli due giorni fa infatti la decisione del Governo – seppur siano avvenuti diversi appelli da radicali, associazioni pro-eutanasia e alcuni giuristi – di costituirsi davanti alla Corte Costituzionale come parte contro il reato “aiuto al suicidio”, come del resto recita la nostra Costituzione. In sostanza, il Governo ha deciso di costituirsi semplicemente dalla parte della legge, formando l’Avvocatura di Stato nel procedimento sollevato dalla Corte di Assise di Milano, come sosteneva giorni fa in una lunga intervista su Avvenire il presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli: «Quanto alla libertà di morire argomentata dal Tribunale di Milano, che esisterebbe e andrebbe rispettata e accordata ricordo che le convenzioni internazionali sui diritti umani affermano il diritto alla vita, all’integrità fisica e psichica di ogni persona e non il diritto alla morte», e ancora sempre rispondendo ad Avvenire, «In ogni caso la questione è mal posta: la libertà di morire implica la pretesa che altri determinino o agevolino la morte, o rende legittima la cooperazione al suicidio? Sarebbe allora legittimo cagionare la morte con il consenso di chi la subisce?», conclude il presidente emerito della Consulta. Secondo invece Mina Welby, presidente dell’omonima associazione a fianco dei radicali nella battaglia sul “diritto alla morte”, «Questo è un grave passo indietro dell’Italia sul fronte dei diritti. Una persona che si trova nelle stesse condizioni di dj Fabo ha diritto di chiedere di andarsene. Per questo l’articolo 580 del codice penale oggi e in questi determinati casi non ha più senso di esistere».