Ricordate come il cortigiano Polonio commenta le escandescenze del pallido prence Amleto? «C’è della logica in quella follia!». La stessa considerazione può esser fatta a proposito di Guglielmo Epifani e della Cgil. Noi tutti, persone di buon senso, ci chiediamo perché mai il segretario della confederazione rossa abbia deciso di ribaltare il tavolo del negoziato sulla riforma della struttura della contrattazione su cui negli ultimi cinque anni sindacati e Confindustria si sono seduti e subito alzati, senza un nulla di fatto, decine di volte.
Eppure quella mossa una logica ce l’ha. E paradossalmente è stata la conclusione della vertenza Alitalia ad incoraggiare Epifani a compiere lo strappo sul tavolo delle regole. Nella vicenda Alitalia – pochi lo hanno notato – la Cgil un risultato, in condizioni di grande difficoltà, lo ha conseguito: quello di aver dimostrato che nessuno – a partire dagli imprenditori protagonisti del Piano Fenice – si sono azzardati a stringere accordi separati che la escludano. Roberto Colaninno non lo ha mandato a dire: quando Epifani si è messo a fare larghi giri di valzer con l’Anpac, la Cai si è alzata dal tavolo; e vi è tornata solo quando Gianni Letta ha recuperato la Cgil.
Abbiamo visto tutti la reazione di Raffaele Bonanni e di Luigi Angeletti, i quali erano pronti a firmare anche da soli, sempre che la controparte avesse accettato (Vengo anch’io? No, tu no). Queste due associazioni sindacali stanno scivolando – ormai da anni – lungo la deriva dell’irrilevanza. È vero: hanno un rapporto con l’esecutivo, ma non possono avvalersene se non per ottenere qualche poltrona in più nel sottogoverno, perché un sindacato ha sempre dei limiti sulla frontiera di destra.
Ma anche il Pd manda da tempo segnali di alleanza con la confederazione rossa. Con il loro interlocutore naturale – i datori di lavoro – i rapporti di Cisl e Uil sono difficili, perché il sistema delle imprese non è disposto a scontarsi con la Cgil.
La Confindustria di Luca di Montezemolo, memore dell’esperienza precedente di Antonio D’Amato, aveva una sola idea programmatica riassumibile nello slogan mai più senza la Cgil. Il banco di prova della presidenza Marcegaglia sarà proprio la linea di condotta che deciderà di tenere dopo il fallimento della trattativa sulla struttura della contrattazione. Si fa presto a dire che la sua organizzazione è pronta a negoziare con chi è disponibile. Tra il dire e il fare c’è di mezzo la preoccupazione di tante aziende di trovarsi in casa una conflittualità di principio derivante da un contenzioso aperto con le organizzazioni sindacali.
Vorremmo essere volentieri smentiti, ma saremmo pronti a scommettere che anche questa volta le disponibilità di Cisl e Uil saranno ignorate dal vertice di viale dell’Astronomia, il quale tornerà ad attendere che maturino i tempi nell’organizzazione di Epifani. Si badi bene: è assolutamente pacifico che un accordo separato sulle regole sarebbe una “anatra zoppa”, uno strumento inutilizzabile. Ma sono almeno dieci anni (dall’inutile patto di Natale del 1998) che si cerca, invano, di rinnovare l’assetto della contrattazione collettiva.
In verità, non è che il documento presentato della Confindustria (al pari delle “linee guida” dei sindacati) risplenda di luce innovativa. A leggere la filigrana di quel documento si scorge subito il tentativo compiuto da Viale dell’Astronomia di accontentare la Federmeccanica che spera di liberarsi del filibustering in gran parte ideologico della Fiom attraverso il meccanismo di vigilanza affidato alle confederazioni. Proprio quello che la Cgil non potrà mai consegnare alle sue controparti, per evidenti motivi interni.
Nei prossimi giorni saremo in grado di capire che cosa potrà succedere. È chiaro comunque che l’atteggiamento della Cgil e quello del Pd, nei confronti del Governo, sono assolutamente coordinati e convergenti.