Nanni Moretti lo aveva profetizzato nel suo film “Habemus Papam”: un pontefice che va in analisi. In realtà Bergoglio era ancora ben lontano dal soglio pontificio, aveva 42 anni ed era ancora il responsabile della Compagnia di Gesù argentina. Lo si legge in un nuovo libro-intervista di prossima uscita anticipato oggi da Il Messaggero, scritto dal politologo francese Dominique Wolton che ha incontrato negli ultimi due anni il papa dodici volte. “Ad un certo momento ho sentito il bisogno di consultare un analista. Una psicanalista ebrea. Durante sei mesi sono andato nel suo studio una volta la settimana per schiarirmi alcune cose. E’ stata una professionista valida, molto professionale come medico e come psicanalista, sempre rimasta al suo posto” si legge nel libro. Ma Bergoglio non spiega i motivi che lo spinsero ad andare in analisi: “E poi un giorno, quando questa psicanalista fu sul punto di morire, mi mandò a chiamare. Naturalmente non per avere dei sacramenti, poiché era di fede ebraica, ma per un dialogo spirituale. Una persona molto buona. In quei sei mesi mi ha davvero aiutato. All’epoca avevo già 42 anni”.
IL LIBRO-INTERVISTA DI PAPA FRANCESCO
Il rapporto fra Chiesa e psicanalisi è sempre stato molto difficile, nel 1961 l’ex Santo Uffizio negò totalmente ad alcun sacerdote e ai seminaristi di ricorrere ad essa. Un grave errore: quanti casi di pedofilia e altre scabrose situazioni si sarebbero evitate. Fu Wojtyla il primo a sdoganarla, citando espressamente Freud durante una udienza generale. Nell’enciclica Sacerdotalis celibati del 1967 Paolo VI aveva però ammesso la possibilità di ricorrere “all’assistenza e all’aiuto di un medico o di uno psicologo competenti” aggiungendo nel 1973: “Abbiamo stima di questa ormai celebre corrente di studi antropologici, sebbene noi non li troviamo sempre coerenti fra loro, né sempre convalidati da esperienze soddisfacenti e benefiche”. Bergoglio già in precedenza ne aveva parlato dicendo che i giovani pessimisti dovrebbero andare in analisi e a una bambina che gli aveva chiesto perché non fosse andato a vivere negli appartamenti apostolici, rispose, che lo faceva “per ragioni psichiatriche” e per restare sereno con il suo stile di vita semplice. Alla domanda se prova mai momenti di angoscia il papa risponde di no, aggiungendo: “quando salgo sull’aereo e mi trovo davanti ai giornalisti ho l’impressione di scendere nella fossa dei leoni. E là inizio a pregare, poi cerco di essere preciso. Avverto molta pressione e ci sono stati anche degli scivoloni”.
Oggi, si legge ancora nel libro, il papa si sente libero, non ha paura di niente, dice, anche se in Vaticano si sente in una gabbia fisica ma non spirituale. Le conversazioni toccano numerosi argomenti, dall’immigrazione all’islam alla laicità dello stato con una critica alla Francia: “Credo che in certi Paesi, come la Francia, la laicità abbia una colorazione ereditata dai Lumi davvero troppo forte, che costruisce un immaginario collettivo in cui le religioni sono viste come una sottocultura. Credo che la Francia dovrebbe elevare un po’ il livello della sua laicità”. Sull’islam appare tutt’altro che arrendevole come lo dipingono i cristiani conservatori: “I musulmani non accettano il principio della reciprocità”. Non è il papa dei poveri come lo dipingono: “Quella è una immagine ideologica. Io sono il Papa di tutti, dei ricchi e dei poveri. Dei poveri peccatori, a cominciare da me”.