Il Senato ha dato il via libera e adesso il decreto sulle terapie a base di cellule staminali, che tante discussioni ha sollevato nelle ultime settimane, viene convertito in legge. Tra i protagonisti di questo decreto l’onorevole Eugenia Rocella, che ha commentato con soddisfazione quest’ultimo passaggio. Parlando con ilsussidiario.net ha però voluto sottolineare il ruolo positivo della politica, che con questo decreto è riuscita a sistemare un quadro compromesso in modo pesante da vari interventi della magistratura, “contro cui”, dice “la comunità scientifica non è mai intervenuta, preferendo invece scagliarsi contro la politica”.
Soddisfazione dunque per il via libera del Senato al decreto legge Stamina.
Sì, soddisfazione perché quello che volevamo in Parlamento, penso in modo concorde tra Camera e Senato, è di consentire la sperimentazione, ma a certe condizioni. Anche perché altrimenti non si può parlare di sperimentazione ma solo di trattamenti.
Ci può spiegare meglio questo passaggio?
Se parliamo di sperimentazione dobbiamo fare in modo che avvenga a condizioni di sicurezza del paziente secondo le norme europee ed italiane e con la possibilità di verificare i risultati e quindi in piena trasparenza. Questo era l’obbiettivo che volevamo raggiungere con delle correzioni specifiche al testo del decreto. Teniamo conto che inizialmente al Senato non c’era la commissione di merito, c’era quella speciale che agiva in assenza delle commissioni permanenti. Quindi con alcune correzioni fatte alla Camera e recepite dal Senato, e in piena sintonia con il governo siamo giunti al risultato finale.
Nelle scorse settimane si era assistito a un forte dibattito, con dichiarazioni molto forti da parte della comunità scientifica.
In effetti la comunità scientifica si è espressa con grande durezza nei confronti dei trattamenti e della possibilità di concedere a Stamina delle condizioni diverse previste dalla normativa.
Ci aiuti a capire il perché di questa opposizione.
Bisogna chiarire che le cellule umane sono sottoposte a diverse normative nel caso siano destinate a trapianti o siano invece considerate farmaci. Quelle di Stamina, che sono manipolate prima di essere infuse, dovrebbero rispettare la normativa della sperimentazione clinica dei farmaci, quindi con condizioni di sicurezza più elevate e anche condizioni di laboratorio più rigorose e più difficili da raggiungere. E’ evidente che la comunità scientifica, che si conforma a questi criteri, è ovviamente contraria che si apra un varco e che ci sia un gruppo autorizzato a una sperimentazione completamente in deroga a questi criteri.
Tutto questo per garantire la sicurezza dei pazienti.
Certamente. Non sono criteri arbitrari ma sono stati dati e recepiti per garantire i pazienti. Ricordiamo che nessun paziente può essere trattato come una cavia. Il fatto che non abbia speranze di guarigione non vuol dire che si possa sperimentare su di lui impunemente. Agire così in nome dell’umanitarismo e della compassione fa ottenere risultati completamente opposti.
Davide Vannoni commentando la conversione in legge del decreto ha detto che collaborerà a patto che la metodica non venga cambiata.
E infatti sarà così. La metodica non viene cambiata, vengono garantiti criteri di sicurezza e trasparenza nella trattamento delle cellule anche nella loro manipolazione, ad esempio assicurandosi che non vengano utilizzate sostanze pericolose. Nel decreto abbiamo previsto delle deroghe, siamo venuti incontro a Stamina, ma le preoccupazioni della comunità scientifica sono ovviamente condivise anche da noi. Non possiamo uscire dall’Europa per garantire a Stamina di fare sperimentazioni a modo loro!
Vannoni ha anche detto che il decreto risponde più all’interesse della comunità scientifica che a quello dei pazienti.
Non sono d’accordo: abbiamo considerato con grande attenzione la richiesta dei pazienti anche perché il Parlamento è stato chiamato a mettere riparo a una situazione che non è stata creata dal Parlamento o dalla politica. Questo è un elemento fondamentale da mettere in evidenza. Stamina non può certo pretendere di avere una regolamentazione tutta sua. Noi abbiamo previsto ampia possibilità di deroghe a partire però da una fermezza sulle condizioni di sicurezza per i pazienti. Abbiamo anche previsto uno stanziamento fino a tre milioni di euro che di questi tempi non è certo poco.
Lei ha detto che la situazione non è stata creata dal Parlamento: da chi allora?
Questa situazione a cui abbiamo cercato di porre rimedio è stata prodotta soprattutto da interventi contradditori della magistratura la quale prima ha bloccato Stamina, ma in seguito ha fatto seguire molte ordinanze che consentivano alle persone di accedere a questi trattamenti. Va ricordato che noi parlamentari abbiamo agito in una condizione difficile, stretti da una parte dalla magistratura, dall’altra dalle normative da rispettare, e anche dalla pressione dei pazienti a cui abbiamo voluto dare ascolto, perché è giusto capire se questi trattamenti sono o non sono efficaci.
Sta parlando di una invasione di campo da parte della magistratura?
Il Parlamento ha dovuto cercare una via di uscita, affinché si riportasse tutta la questione in un quadro regolato che però consentisse a Stamina di svolgere questa sperimentazione. Perché solo così si possono verificare i risultati ottenuti.
Approfondiamo questo aspetto, quello della magistratura.
Il Parlamento ha solo fatto ordine in una situazione di fatto, prodotta anche da alcuni magistrati. Teniamo poi conto di una cosa importante: la comunità scientifica ha fatto una petizione al governo contro questo decreto, ma ha sbagliato l’obbiettivo.
Qual era l’obbiettivo invece?
Bisognava individuare le reali responsabilità, cosa che non mi sembra che gli scienziati abbiano fatto. L’appello sottoscritto dagli scienziati e rivolto al governo doveva essere rivolto ad altri, per esempio ad alcuni tribunali. C’è poi il caso di un articolo che ho trovato sbagliato e anche offensivo, quello pubblicato dalla rivista Nature, che gode di prestigio internazionale. L’Italia non è affatto terra di deregulation dal punto di vista della ricerca, e l’autore del pezzo forse era poco informato: le norme che regolano la ricerca nel nostro paese sono sempre rispettate, ma se un tribunale chiede che a un paziente venga erogato un determinato trattamento, non possiamo ignorarlo.
Una accusa ben precisa, la sua.
Io non ho visto mai in questi anni una presa di posizione della comunità scientifica nei confronti di sentenze che invadevano il campo delle competenze mediche e scientifiche. Ci sono stati numerosi casi di questo tipo, penso al protocollo di morte di Eluana Englaro ad esempio. Nessun esponente della comunità scientifica si è risentito per una sentenza che si spingeva fino a suggerire eventuali presidi farmacologici nel momento della sospensione di idratazione e alimentazione. Si trattava di un protocollo di morte mai sperimentato, e si sarebbero dovute seguire procedure specifiche, per esempio ottenere il consenso del comitato etico dell’ospedale. Non parliamo poi delle numerose sentenze sulla legge 40, per cui ci si è spinti fino a ridefinire il concetto di infertilità: una questione squisitamente medica in cui il magistrato non ha competenze. Eppure non ci sono stati appelli dei ricercatori e proteste della comunità scientifica.
Cosa si apetta, dopo questa vittoria della politica?
Mi aspetto che ci sia una maggiore coerenza, d’ora in poi, e che gli scienziati facciano sentire la propria voce tutte le volte che qualcuno, anche se è un magistrato, scavalca i criteri di rigore e competenza necessari in un ambito delicato come quello medico, in cui è in gioco la vita umana.
(Paolo Vites)