Roberto Mulone è carabiniere, ha 46 anni, e sabato ha perso due figli di 7 e 9 anni che aveva portato nella riserva delle Maccalube di Aragona (Agrigento). È qualcosa che vai a visitare nei fine settimana come questi, perfetti soprattutto alla fine di un’estate fredda e piovosa. Ci sono dei fanghi che bollono, dei piccoli geyser, solo che non t’aspetti che d’un tratto la collina collassi e il “vulcanello” diventi un vulcano. È una riserva, quest’estate l’avevano chiusa per 15 giorni, e ora sembrava tutto tranquillo. Mezz’ora prima, proprio lì, c’erano delle guardie del parco e andava tutto bene. Ora però Roberto Mulone continua a ripetere “li avevo per mano e non sono riuscito a liberarli”. È l’incubo di ogni genitore, avere la mano di chi ami e dopo un po’ non avere più chi ami. “Dammi la mano” è, al mondo, la frase più ripetuta dai genitori. Ad ogni marciapiede, ad ogni semaforo, a ogni strada, a ogni uscita di scuola, a ogni scala da scendere, a ogni scala da salire, a ogni passeggiata, a ogni gita. L’adolescenza non inizia con il primo brufolo ma quando gli dai la mano e per la prima volta tuo figlio la toglie. Non c’è ritorno. Da quel momento metti in conto che la loro sicurezza non è più nelle tue mani. Ma quando ne ha 7 e 9, sei tu che li proteggi. E l’incubo di Roberto è che lui non li ha protetti.
Non riesce ad accettare che davanti ad un’onda di venti metri di fango non ci sia mano che tenga. Se ci fosse un cattivo, un uomo nero, almeno si potrebbe dargli la colpa, ma qui la colpa è della natura: la natura è fatta così. La natura e fatta così: è più grande di noi. E quando si muove fa le onde di fango, il vulcanello diventa vulcano e una collina collassa. La natura è fatta così, non sempre fa le crepe sul terreno che avvisano che c’è pericolo e che va chiusa l’area. La natura, è imprevedibile: soprattutto quando causa le tragedie. Che sono sempre improvvise: bella scoperta. Se no le eviteremmo. Questa storia del trovare i colpevoli è falsa e pericolosa. Soprattutto per chi crede, perché va a finire che la colpa è di Dio.
Ma allora com’è la storia della mano? I miei figli danno la mano a me e io, perché non do la mano a Dio? E se il vulcanello diventa un vulcano, è perché Dio mi ha lasciato la mano? Non è così: è un mistero. Ho letto le parole di don Salvatore, che è stato vicino a Roberto, e mi è piaciuto perché non ho trovato le solite parole vuote sulla croce.
Quelle parole che, alla fine, gira gira, fanno diventare colpevole Dio. Perché quella che fa piangere e soffrire davanti ai corpi ripescati dal fango dei tuoi figli non è la croce. È una croce, sì, ma non perché soffri. La croce è scandalo e follia dice San Paolo, cioè non è una spiegazione, non è un perché, è un mistero. E i misteri – quando ci si è obbligati – si vivono, non li si spiega. Mi piace don Salvatore che sta una notte e un giorno accanto e fa come i carabinieri che fanno cordone intorno al collega e alla sua famiglia. E fa come gli psicologi che sostengono. E fa come il sindaco, lutto cittadino. Perché davanti al mistero ci si ferma. Niente spiegazioni.
E attenti noi credenti a non usare la croce come un’ascia e usarla per le spiegazioni. La croce non è una scienza. È una cosa da rimanere muti. Fermi. Perché il mistero non è qualcosa che se lo conosci, lo capisci. È qualcosa davanti a cui ti devi fermare perché è tanto grande, tanto profondo, tanto troppo. Che ci puoi stare solo con accanto qualcuno. Abbracciati.