Adesso la missione americana del Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli, si presenta più difficile. Come farà a giustificare di fronte alla comunità campana d’oltreoceano il morto, i settanta feriti, i centoquaranta interventi dei vigili del fuoco per sedare gli incendi, e tutto in una notte: quella speciale del 31 dicembre?
Stanchi di leggere sempre male della loro città d’origine, raccontata dai giornali come ostaggio di criminalità e immondizia, i circoli napoletani di New York hanno chiesto e ottenuto che l’alto prelato si rendesse disponibile a incontrarli e rassicurarli portando esempi positivi da contrapporre a quelli negativi, dilaganti.
Così Sepe, unica autorità morale che la città riconosce, ha messo in agenda un viaggio dal 17 al 22 gennaio fitto d’impegni e conferenze tendenti a mostrare che si esagera; che Napoli si ritrova con mille nodi da sciogliere ma anche con mille risorse da poter investire nel suo riscatto. Insomma, non è tutto fango ciò che non luccica.
E poi il Cardinale, al cui cospetto San Gennaro non ha mai fatto attendere per il Miracolo, si era speso molto i giorni prima del Capodanno spiegando che sparare botti illegali, quelli pericolosi per sé e per gli altri, è una forma di peccato; che non vale la pena di mettere a repentaglio la salute per un atto di balordaggine e così via.
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La città dabbene, quella cui è concesso d’intervenire sulla stampa e in tv, aveva confermato e rafforzato il concetto: basta con la barbarie dei fuochi come se si fosse alla guerra, ci sono tanti altri modi più civili e divertenti di festeggiare, pensiamo un po’ ai problemi veri della metropoli, alla crisi, a chi perde il lavoro, ai poveri…
Niente da fare. Fedeli al principio che i buoni consigli valgano sempre e solo per gli altri, i napoletani hanno scatenato una battaglia come non si vedeva da anni. Compressione, rabbia, eccitazione hanno trovato sfogo come non avrebbero dovuto. C’è scappato pure il morto con un colpo di pistola vagante.
Il cattivo esempio contagia anche Salerno che in maniera sorprendente si ritrova con ventiquattro feriti: considerando la più bassa popolazione, valgono addirittura più in termini percentuali degli sciagurati del capoluogo. E’ una nobile gara a perdere. A chi fa più danno e si condanna a una vita infelice.
A Napoli le micce accese trovano materiale fecondo nei cumuli di spazzatura che s’incendiano a centinaia nonostante l’Esercito stesse disperatamente tentando di rimuovere tonnellate di sacchetti, come promesso dal Governo, liberando il centro cittadino e alleggerendo le periferie senza tuttavia poter chiudere la partita.
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Che resterà aperta, come ammette il presidente della Regione Stefano Caldoro, per almeno altri tre anni; quanti ce ne vorranno per realizzare il sistema completo di raccolta, trasporto, stoccaggio e incenerimento. Ora al circuito mancano pezzi importanti e bisogna inventarsi ogni giorno una soluzione nuova.
Certo, anche i pezzi che ci sono non funzionano a dovere e il fatto che manchi sempre qualcosa è usato come alibi per abbassare la qualità del proprio dovere. Così, nonostante le buone intenzioni manifestate nei salotti e nei convegni, non è sicuro che la classe alta si comporti sempre come dice e dovrebbe.
Nascono comitati civici, associazioni con ottime intenzioni, raggruppamenti d’imprese che chiedono comportamenti virtuosi alla pubblica amministrazione e alla politica; ci si esorta vicendevolmente a uscire dall’apatia che lascia spazio al male, che ha fatto precipitare Napoli nel fosso in cui tutti la vedono.
E poi, di fronte alle reiterate manifestazioni d’irresponsabilità diffusa ci si domanda se non sia vero quello che già qualcuno si è lasciato sfuggire di bocca di fronte all’arduo compito di mettere ordine in una città dove perfino l’Inquisizione dovette dichiararsi sconfitta: governare i napoletani non è impossibile, è semplicemente inutile.