Il terremoto continua, le scosse si susseguono a ritmo di una ogni cinque minuti, alcune più flebili, altre che si fanno sentire, poche, per fortuna, che fanno ballare oggetti e persone. Ma ne basta una per far tornare ansia, angoscia, qualche volta panico. L’ultima di queste, in ordine di tempo proprio mentre scrivo, 3.7, con epicentro a Norcia, alle 21.32. A cui è seguito un 2.1 alle 21.34; un 2.4 alle 21.38; un 2.3 alle 21.40, per far capire che la terra non si vuole riposare. Qualche minuto di pausa e poi a continuare: 2.8 alle 21.47; 2.0 alle 21.50.
Il terremoto ha mille sfaccettature. Ci sono paesi rasi al suolo, persone costrette a soluzioni di emergenza, sfollati. Lì ci sono i riflettori, le immagini televisive. Siamo nella zona dell’epicentro, nei comuni direttamente coinvolti dalla violenza del sisma. Ma le scosse si propagano e il raggio d’azione è ampio, circa settanta chilometri di raggio e oltre un milione di persone che quotidianamente devono fare i conti con paura e danni. Città e paesi che non arrivano alle cronache nazionali ma i cui abitanti spesso dormono fuori casa, in centri attrezzati dai Comuni o in camper o da parenti. Danni che si assommano di giorno in giorno e per cui c’è ancora incertezza sugli interventi e sul sostegno alle spese. Paesi che non fanno parte del cosiddetto “cratere sismico”, ma che con esso confinano e condividono gli stessi problemi.
Così i sindaci di Teramo, Maurizio Brucchi; Ascoli Piceno, Guido Castelli; Rieti, Simone Pietrangeli e Fermo, Paolo Calcinaro — città tutte fortemente colpite dagli eventi tellurici delle ultime settimane — hanno preso carta e penna per indirizzare al presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, una lettera congiunta contenente alcune pregnanti richieste, relative alla situazione di emergenza creatasi e alla necessità di assolvere ad una cospicua mole di attività, nei tempi più rapidi e con le modalità più appropriate.
I sindaci partono dalla richiesta di introdurre strumenti normativi che possano favorire “la semplificazione delle procedure e la possibilità di reclutare personale in via straordinaria”. In maniera esplicita, hanno quindi aggiunto la richiesta di essere “destinatari delle misure e delle azioni di sostegno che saranno stabilite a beneficio dei territori colpiti dal sisma”. Ciò anche in virtù delle funzioni strategiche che gli stessi Comuni assolvono in quanto capoluoghi di provincia. Sottolineata anche “l’opportunità di ricostruire e risanare bene e presto ciò che è stato compromesso” e posto il tema dell’edilizia scolastica “come autentica priorità al di là della contingente emergenza”.
A questo scopo lanciano la proposta di istituire “un fondo unico sull’edilizia scolastica che abbia nella prevenzione antisismica una direttrice privilegiata”. La lettera si chiude con l’auspicio “che nelle zone più a rischio arrivino le risorse necessarie per pianificare interventi definitivi e di lunga durata”.
E questa è la missiva ufficiale dei sindaci di capoluoghi di provincia. Ma nel Fermano, nel Teramano ci sono anche piccoli paesi con le chiese inagibili, i municipi chiusi al pubblico, i punti di interesse artistico rovinati, le case dei privati lesionate. Paesi che non assurgono alle cronache quotidiane del terremoto ma che necessitano di interventi strutturali seri. Sono i sindaci della prima linea, un fronte di guerra che chiede rinforzi contro un nemico invisibile ma violento. Che non guarda in faccia a nessuno.