“L’allerta per l’Italia è elevatissima, pur in assenza di una minaccia specifica, ma lo è perché l’Italia è parte di quella grande coalizione internazionale che contrasta il terrorismo, perché è la sede della cristianità, ed ha fatto scelte importanti anche in Parlamento negli ultimi mesi”. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, a margine di una Conferenza sulla sicurezza che si è svolta ieri a Bruxelles. Il titolare del Viminale ha fatto sapere che sono 48 i combattenti jihadisti che sono “legati in qualche modo all’Italia in termini di transito o in termini di passaggi vari effettuati nel nostro Paese”. Ne abbiamo parlato con l’onorevole Stefano Dambruoso, deputato di Scelta civica, membro del Comitato per la Sicurezza di Montecitorio ed ex pm antiterrorismo.
Quanti sono i jihadisti italiani in forze all’Isis?
Per quanto riguarda le persone residenti in Italia che si sono recate in Iraq e Siria per combattere, siamo nell’ordine di qualche decina e sono monitorati con grande attenzione. Ora queste persone, dopo un periodo di guerra, stanno facendo rientro o stanno tentando di fare rientro nel nostro Paese.
Alfano ha detto che “l’allerta terrorismo in Italia è elevatissima”. E’ davvero così?
Finora non è stata intercettata nessuna situazione di preparazione mirata di un attentato in Italia. L’allerta è elevatissima perché alcune decine di soggetti italiani si sono recati in Siria e Iraq e in qualche modo potranno fare rientro in Italia o lo hanno già fatto. Quindi sono soggetti portatori di pericolo, che è ricollegabile all’Isis.
Questi personaggi potrebbero organizzare attentati in Italia?
Assolutamente sì. Sono capaci di organizzare attentati, come pure di auto-immolarsi con fenomeni di terrorismo fai-da-te, con gente che si costruisce da sola le bombe e poi prova a farle esplodere, o addirittura facendosi saltare per aria.
I leader del Califfato hanno detto che conquisteranno Roma. La capitale è particolarmente a rischio attentati?
Dall’11 settembre 2001 in poi, Roma è sempre stata oggetto di particolare attenzione a scopo di prevenzione, proprio perché è la sede di una delle grandi religioni alternative all’islam. Non cambierebbe però la gravità del rischio se a essere coinvolta fosse Napoli piuttosto che Milano.
Il governo sta facendo tutto quello che può per prevenire gli attentati?
Il governo dispone di una task foce di persone capaci che stanno facendo tutto quello che devono fare, ma può fare qualcosa in più. Dal punto di vista degli strumenti per combattere il terrorismo, manca il corrispettivo della Direzione nazionale anti-mafia, con il nome appunto di Direzione nazionale anti-terrorismo. Ovviamente in Italia, come in qualsiasi Paese democratico, il terrorismo si combatte soprattutto attraverso il processo in aula e le indagini che sono finalizzate a quest’ultimo. Occorre però anche uno strumento capace di coordinare tutte le indagini presenti sul territorio italiano.
Come dovrebbe essere composta la Direzione anti-terrorismo?
Il presidente del Senato, Piero Grasso, e io da tempo sosteniamo che bisognerebbe estendere le competenze della Direzione nazionale anti-mafia anche alle indagini sul terrorismo. L’organico della direzione va cioè completato con sei magistrati che hanno un’esperienza riconosciuta in materia di indagini sul terrorismo. In questo modo di eviterebbe di creare un organismo parallelo, contenendo al massimo i costi per l’amministrazione pubblica. Un tempo la centrale del terrore in Italia era viale Jenner a Milano.
Quali sono oggi le nuove centrali del terrore?
Oggi non esistono più. Quello che abbiamo di fronte è un fenomeno completamente nuovo, ed è per questo che è inquietante. Oggi abbiamo gente che si auto-recluta sul web. Cittadini italiani che hanno fatto le stesse scuole dei nostri figli, in classi dove c’è il crocifisso, e dopo avere navigato nel silenzio più assoluto i siti dell’islamismo radicale, da un giorno all’altro sono partiti per andare a fare la guerra. A innescare i jihadisti nostrani oggi non sono più innanzitutto le prediche nelle moschee, bensì molteplici contatti online con chi organizza l’arrivo degli europei in Siria e Iraq.
(Pietro Vernizzi)