La tanto attesa svolta nelle indagini sullo stupro di Rimini avvenuto una settimana fa, quando una turista polacca era stata violentata da un branco di nordafricani davanti ad un amico – malmenato e rapinato- è finalmente arrivata. Due fratelli marocchini di 17 anni si sono infatti presentati spontaneamente alla caserma dei carabinieri di Montecchio, nel Pesarese, e hanno ammesso:”Siamo stati noi”. Sempre loro, la stessa notte del 26 agosto, hanno violentato una transessuale peruviana, ma il cerchio non può ancora definirsi chiuso. All’appello mancano ancora due componenti del branco dell’orrore, due rappresentanti di quella banda che secondo gli inquirenti potrebbe avere tentato altri stupri nei giorni precedenti alla violenza del Bagno 130. Una 30enne di origini etiopi residente a Legnano, in vacanza a Rimini con il compagno, si era salvata dallo stupro soltanto approfittando di un momento di distrazione degli aggressori dandosi alla fuga: altrimenti avrebbe potuto subire la stessa sorte. Sembra che a costituirsi, di qui a poco, possa essere anche un terzo elemento, un minorenne del Congo, che andrebbe a completare la composizione del branco con il capobanda, un nigeriano, l’unico maggiorenne di cui al momento non si hanno notizie.
LA STRATEGIA DEGLI INQUIRENTI
Ma perché dopo giorni di latitanza i due fratelli marocchini hanno deciso di costituirsi proprio oggi? La risposta è da rintracciare nella strategia della pressione messa in atto dagli inquirenti che da giorni indagano senza sosta sullo stupro di Rimini. Già da questa mattina i carabinieri avevano volutamente diffuso il fermo immagine di una delle telecamere di videosorveglianza del centro. Ritraeva, di spalle, 3 degli aggressori. Le vittime – chi più, chi meno – erano state concordi nel riconoscere in quegli scatti i loro incubi. Era però, soprattutto, un modo per far sapere ai giovani che la loro identificazione era vicina. Dopo essersi presentati in caserma, per i due fratelli marocchini è stato disposto il trasferimento a Rimini, dove avrà luogo l‘interrogatorio in Procura alla presenza del pm che coordina le indagini e di un magistrato del tribunale dei minori di Bologna.