Il tribunale di Torino ha condannato a 16 anni di prigione i due ex proprietari della multinazionale Eternit. Si tratta di Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero 65enne, Louis De Cartier, 91 anni, barone di origini belghe. I due sono stati giudicati responsabili per 2.191 morti e 665 malati di mesotelioma pleurico, che è provocata dall’esposizione all’amianto. La sentenza ricorda da vicino quella per il caso ThyssenKrupp, quando sette operai dello stabilimento torinese morirono bruciati per la mancanza di prevenzione. Il giudice in quel caso stabilì che Harald Espenhahan, ad della multinazionale, dovesse scontare 16 anni e sei mesi di carcere per l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale. Ilsussidiario.net ha intervistato il giornalista e scrittore Giampaolo Pansa, nato e vissuto fino ai 24 anni a Casale Monferrato, dove si trova una delle due filiali per la quale Eternit è stata condannata. Pansa ci racconta il dolore per i molti amici morti di mesotelioma pleurico in quella che chiama “la roulette russa in cui Casale Monferrato vive ogni giorno, con una morte bianca, invisibile ma implacabile, che ancora oggi si aggira per le sue strade”.
Lei è nato a Casale Monferrato. Qual è il significato della sentenza per la sua città?
Eternit è una società fondata a Casale Monferrato nel 1906, quindi stiamo parlando di più di un secolo fa. E’ un’azienda storica, e Casale all’epoca era chiamata la capitale del cemento, proprio per il numero dei cementifici. Come ho spiegato nel mio ultimo libro, “Poco o niente”, attorno a Casale c’erano dei terreni ricchi di marna, che allora era l’ingrediente principale per fare il cemento. Quando arrivò l’Eternit, diede lavoro a migliaia di casalesi e anche agli abitanti dei Paesi intorno. Andare a lavorare all’Eternit era una garanzia. Oggi che si parla tanti di precariato e disoccupazione, ma all’epoca l’Eternit era una società in grandissima espansione. Infatti ancora oggi l’amianto lo troviamo dappertutto: si può girare l’Italia, andare in un piccolo paese e scoprire le lastre di Eternit che sono ancora lì, e quindi fanno ancora i loro danni. All’epoca però era un volano economico fortissimo per l’intera Casale Monferrato. Lavorare all’Eternit era una garanzia per la vita, poi naturalmente si è scoperto che questa garanzia veniva pagata con la morte.
Ritiene che la sentenza Eternit sia anche la vittoria di decenni di battaglie sindacali?
Intanto non credo che siano stati decenni. Sono già parecchi anni, ma questa terribile storia dell’Eternit è entrata nella coscienza comune non solo della città ma anche di quella parte dell’opinione pubblica italiana che si occupa di questi eventi orrendi dieci o 15 anni fa. L’aspetto però decisivo è che si sia giunti alla condanna dei due proprietari dell’Eternit, e anche questa misura temporale di 16 anni mi sembra giusta. Non è mia abitudine dichiarare se sono d’accordo o meno con una sentenza. Ma in questo caso mi sento autorizzato a farlo, essendo nato a Casale Monferrato e avendoci vissuto fino alla laurea, seguendo poi giorno per giorno i suoi sviluppi attraverso “Il Monferrato”, il bisettimanale cittadino. Anche di recente sono stato a Casale a presentare un mio libro. E mi sono reso conto in prima persona di questo inferno dell’amianto. E’ giusta quindi non solo la condanna, ma anche la sua motivazione e l’ammontare dei risarcimenti, anche se la vita delle persone non può essere mai quantificata.
In che modo si è reso conto in prima persona dell’inferno dell’amianto?
Perché Casale è una città che vive di continuo davanti a questa roulette russa. In tutti questi anni, è morto di mesotelioma pleurico sia chi ha lavorato all’Eternit sia chi non ci ha mai lavorato. Sono morte anche persone che avevano vissuto in città o nei paesi vicini fino ai 20-25 anni, e poi erano sempre vissute all’estero o altrove. Quando parlo quindi di roulette russa penso anche a me stesso. Io sono nato a Casale nel ’35, ci ho abitato fino al 1959, finora non mi sono ammalato ma spero che non mi succeda in futuro. Ho visto morire dei miei compagni di scuola, che non avevano mai fatto gli operai ma erano professionisti o industriali di altri settori.
Il presidente della Corte d’appello, Mario Barbuto, ha definito quello sull’Eternit “un processo unico nella storia”. E’ veramente così?
Francamente non lo so. Storico è un aggettivo che si usa, e ho visto che anche il ministro della Salute l’ha definita una sentenza storica. Credo che sia una sentenza “storica”, se vogliamo usare questa parola molto pesante, soprattutto per un fatto: non solo perché è stato deciso un risarcimento molto forte per le vittime, per i Comuni colpiti, ma per l’entità della pena e soprattutto perché sono stati condannati i due proprietari di Eternit. E’ vero che per uno è una condanna “platonica”, essendo un signore di 91 anni, ma certamente questo stabilisce un principio. Non so se il nostro ordinamento giuridico preveda questo evento, ma la sentenza stabilisce il principio secondo cui il proprietario di un’azienda è direttamente responsabile di quanto avviene nelle sue filiali, e soprattutto delle malattie che derivano da certe lavorazioni, che non sono combattute nel modo giusto, sono ignorate, o per le difese che non vengono adottate.
Ritiene che sia una sentenza che va nella stessa direzione di quella sul caso ThyssenKrupp?
Quello della ThyssenKrupp era stato un “incidente” orrendo, con sette operai rimasti bruciati vivi. Il caso dell’Eternit è molto diverso, perché l’amianto è una specie di morte bianca che si aggira di continuo, invisibile ma molto insidiosa, nelle strade della città di Casale Monferrato. Io ho una sorella, dei cognati, dei nipoti che ci vivono, molti amici. A volte mi domando: “A loro succederà qualcosa o meno?”. Perché c’è questa imprevedibilità, forse dovuta al Dna di ciascuno, alle proprie caratteristiche fisiche. Il mesotelioma pleurico è un tema che in città è molto sentito, e che l’ha anche divisa sul modo di affrontare la questione giudiziaria. Questa sentenza però è giusta perché per lo meno dovrebbe mettere fine a un primo capitolo della storia dell’amianto a Casale.
La sentenza cambia anche le relazioni tra i vertici delle multinazionali, i lavoratori e l’ambiente?
Questo senz’altro, e la novità più importante, quella che in modo molto sbrigativo definiamo “storica”, è proprio questa. Il fatto che a essere condannati siano stati i due proprietari dell’azienda cambia l’atteggiamento sul lavoro che, in Italia ma non solo, porta a fare troppa poca prevenzione.
(Pietro Vernizzi)