Trentotto giorni sono passati. Trentotto giorni senza Yara. Giorni lunghi da sopportare per Mauro e Flavia, il padre e la madre di questa ragazzina tredicenne che sembra rapita dal nulla. Da quando hanno deciso di rompere il silenzio con un accorato appello, sono tornati a chiudersi nel loro silenzio. Non una traccia è stata trovata in 200 km quadrati passati al setaccio. Non una testimonianza che prevalga sull’altra, non un’ipotesi investigativa che possa squarciare questo insopportabile velo di mistero.
A Brembate di Sopra il circo dei media ha rallentato la morsa. Ma qualcuno resiste. Leggiamo il titolo di un’agenzia e sobbalziamo sulla sedia. “Dalle indagini ombre e intrecci inaspettati”. Ma di cosa stanno parlando? Leggiamo il testo, non c’è nulla, solo vaneggiamenti. Ma c’è una frase che colpisce per la sua insensatezza. E’ alla fine del pezzo: “Tutto è complicato da un tessuto sociale molto chiuso al limite dell’indifferenza, che getta nuovi dubbi su una realtà provinciale prospera, ma che appare sempre più ricca di contraddizioni”.
La contraddizione sta nel fatto che questa gente non parla, non si presta a recitare una parte. Ha preferito fare altro, roba che non fa notizia. Da trentotto giorni macina chilometri, inizia la mattina alle otto fino a quando fa buio. Rientra a casa con lo sconforto nel cuore e la mattina dopo ricomincia a macinare chilometri, a cercare Yara. Una dimostrazione d’affetto, così intensa, così gratuita che ha fatto scrivere ai genitori della ragazzina una lettera rivolta a tutti i volontari: “Vorremmo inchinarci davanti a voi tutti, giovani e anziani, genitori e figli, volontari e gente comune, forze dell’ordine e semplici cittadini, giornalisti e politici, ricchi e poveri, alti e bassi, forti e deboli, brembatesi e non, tutti diversi fra voi ma nello stesso tempo tutti accomunati da un indescrivibile amore, che vi fa onore e soprattutto degni di una smisurata riconoscenza, da parte di una piccola famiglia che vi ammira ed è fiera del vostro grande segno d’amore e di speranza. Grazie”.
Chi non è per strada, lungo i fiumi, nei boschi, entra nella chiesa di Brembate per pregare. I quadernoni sono diventati due, tanti sono i messaggi. “Cara Yara- scrive una mamma – oggi per la prima volta dopo anni sono tornata in Chiesa per te. E anche questo è un piccolo miracolo”. Su quelle pagine a quadretti ci sono sogni, messaggi, storie, preghiere. Raccontano il sentire profondo di questo Paese, altro che “realtà sempre più ricca di contraddizioni”. Perché la fede non cancella il dolore, semplicemente lo rende umano. Non fa vincere la disperazione, ma la speranza.
Il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, nella messa celebrata a Brembate, ha detto una cosa grande: «Dobbiamo trovare Yara per ritrovare il Signore. Dobbiamo trovare il Signore perché, trovando il Signore, troveremo Yara, in qualunque luogo e in qualunque condizione si trovi ». Don Corinno, il parroco, ripete con forza: “Noi abbiamo continuato a fare l’unica cosa che potevamo fare per non disperare: intensificare le preghiere. La nostra preghiera in chiesa, ma anche i nostri incontri, i nostri dialoghi sussurrati per strada sono preghiera”.
Ma questo forse è troppo poco, perché non è normale che un intero paese scelgano il silenzio, la discrezione, la preghiera. Non si può accettare. Eppure è così. E comunque come dice don Corinno, questa comunità, questo paese non saranno più come prima. Non perché vinceranno la paura, l’insofferenza e il sospetto verso l’altro, ma per un motivo opposto. “La sofferenza di questi giorni ci fa crescere nella fraternità e nella fiducia nel Signore –ha scritto don Corinno- Quasi, oserei dire, è un momento di grazia. C’è paura in paese, ma ancora una volta il Signore e i suoi angeli nella Notte Santa ci dicono: «Non abbiate paura, vi annunciamo una grande gioia: è nato per voi il Salvatore, Cristo Signore». Ho letto che nella Bibbia il Signore per 365 volte dice agli uomini: «Non abbiate paura». Trecentosessantacinque come i giorni dell’anno. Ogni giorno, per tutti i giorni dell’anno, il Signore ci chiede di non avere paura”.
Tutto questo è nel cuore della gente di Brembate, nel cuore dei genitori di Yara, che aspettano e implorano il suo ritorno.
(Massimo Romanò)