“Che cosa ti è successo, Europa?”. Nel discorso per il premio Carlomagno, papa Francesco ha dato del tu all’Europa. Non era scontato. Divenuto papa, Jorge Bergoglio ha inizialmente parlato poco dell’Europa e ha cominciato ad incontrarla partendo dalle sue periferie. Poi c’è stato il discorso di Strasburgo, molto attento e rispettoso, che ha raccolto consenso ma anche suscitato sorpresa per l’espressione “Europa nonna”. Subito dopo, una preoccupata Angela Merkel chiamò il papa per chiedergli se davvero considerava l’Europa ormai incapace di generare. Le reazioni di altri sono state più fredde e sussiegose. Molti europei non amano papa Francesco quanto lo amano tanti sudamericani, africani e asiatici. Anche in Italia permangono dubbi e critiche nei suoi confronti. Molti non lo considerano capace di capire fino in fondo i problemi di un mondo complesso come quello occidentale.
Francesco sa tutto questo. Avrebbe potuto ritirarsi nelle grandi periferie del mondo, dove ci sono tanti poveri che egli ama e da cui è riamato. Sarebbe stata una scelta non priva di motivazioni valide: è nelle periferie che si gioca oggi gran parte del futuro dell’umanità. Ma non l’ha fatto. Si è anzi dedicato con pazienza a capire di più l’Europa e i suoi problemi. Forse gli è sembrato strano doverlo fare. Anche se discendente di immigrati italiani, Jorge Bergoglio è nato in Argentina, dove ancora oggi si guarda agli europei come a coloro che per secoli hanno tracciato la storia del mondo. Spetta anzitutto a questi — sarebbe lecito pensare — rievocare la loro eredità e decidere il loro destino. Ma c’è oggi uno strano silenzio in Europa e qui sono oggi poche le voci importanti capaci di dire parole grandi: come ha notato Benedetto XVI, l’Europa sembra aver preso congedo dalla storia. Francesco si è accorto di questo vuoto e non si è tirato indietro: senza arroganza ma anche senza paura ha cercato di mettere gli europei davanti a se stessi e alla loro realtà.
Ha ribadito, infatti, quanto aveva detto a Strasburgo, preoccupandosi però di spiegarlo meglio e di farsi capire. “Europa nonna”, ha chiarito, vuol dire “stanca e invecchiata, non fertile e vitale”, qui “i grandi ideali” che l’hanno ispirata “sembrano aver perso forza attrattiva”, è oggi priva di “capacità generatrice e creatrice”, tentata di “dominare spazi più che generare processi”, “trincerata” nell’immobilismo invece di privilegiare dinamismi che coinvolgano tutti nella ricerca di nuove soluzioni. Insomma, un’Europa “decaduta”. Non è facile accettare un simile giudizio, ma papa Francesco non l’ha pronunciato con freddezza analitica bensì con tenerezza appassionata. E l’ha fatto seguire dalla domanda “Che cosa ti è successo, Europa?”.
E’ una domanda piena di tristezza ma anche di sofferenza, come quelle che si rivolgono ad una persona molto amata ed ammirata, per la sua grandezza e per la sua generosità, per il suo spirito e per le sue opere, i cui comportamenti e le cui scelte sono però oggi lontane da quelli di un tempo.
Dando del “tu” all’Europa ha trasformato un problema in una speranza. Questo “tu” infatti vale più di mille discorsi perché comunica agli europei qualcosa di cui gli europei dubitano ogni giorno di più: quel “tu” ci dice, infatti, che l’Europa c’è, è viva, non è solo eredità del passato ma anche promessa di futuro, grande soggetto collettivo in cui tutti gli europei, con le loro diversità, possono riconoscersi e a cui tanti non europei possono tornare a guardare con fiducia.
Suonano inquietanti le parole di Francesco che si chiede: “Che cosa ti è successo Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”. Sono parole che ci inquietano: fanno emergere una paura che cerchiamo in tutti i modi di nascondere, la paura che una storia lunga e gloriosa sia oggi finita. E’ la paura che ci spinge a “trincerarci” nel nostro presente, azzerando il passato e fuggendo dal futuro. Sì, è vero, in un certo senso, una lunga storia è finita. Ma la voce di papa Francesco porta il realismo della speranza. Ci dice che l’Europa esiste, è una grande casa comune, bella e forte, può e deve ricominciare oggi una storia nuova. E’ una voce che viene sorprendentemente da lontano, “quasi dalla fine del mondo”, ma è la voce di uno dei grandi interpreti del nostro tempo, ammirato e ricercato da capi di Stato e da leader religiosi, da grandi intellettuali e da personalità di ogni tipo. Possiamo fidarci. Anche perché, sebbene venga da lontano, è diventato molto vicina. Il “tu” infatti non esprime solo interesse ma anche coinvolgimento: Francesco si è fatto europeo con gli europei, lasciandosi coinvolgere nel destino dell’Europa.
Le sue parole sono un punto di ri-partenza. Conviene abbandonare le nostre piccole immagini di Europa, quella dei burocratici e delle cancellerie, dei partiti nazionalisti e di quelli xenofobi, del 3% o del fiscal compact… Conviene sognare con papa Francesco un’Europa giovane, capace di essere ancora madre, che si prende cura del bambino, che soccorre il povero e chi arriva in cerca di accoglienza, che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, in cui essere migrante non è un delitto, dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, un’Europa delle famiglie, che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti, un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia.