Un inizio di processo con colpo di scena: possiamo riassumerlo così quanto avvenuto oggi in aula a Varese in merito alla prima udienza sulla morte di Lidia Macchi, a carico di Stefano Binda. L’uomo e presunto assassino della studentessa uccisa 30 anni fa, infatti, potrebbe essere scagionato grazie ad una testimonianza importante resa una settimana fa da un avvocato, il cui assistito avrebbe ammesso di essere il vero autore della poesia inviata alla famiglia Macchi, la cui calligrafia era stata attribuita proprio a Binda. “Il nostro assistito era commosso quando lo abbiamo incontrato in carcere per informarlo di questa importante testimonianza che lo scagiona”, ha commentato l’avvocato Esposito come rivela Il Giorno. Ora è scontro sul nuovo teste: secondo l’avvocato Martelli, anche lui difensore di Binda, la testimonianza dell’avvocato potrebbe rivelarsi fondamentale e “sacrosanta per raggiungere la verità”. Contraria l’idea del legale di parte civile, Daniele Pizzi, difensore della famiglia di Lidia Macchi e che ha considerato la nuova pista solo “un goffo tentativo di trovare un’alternativa sull’autore della lettera anonima”. Di fatto, sarebbe stato scientificamente provato che a scrivere quella missiva sarebbe stato proprio Binda. Il nome del legale non è inserito nella lista dei testi e a tal proposito i giudici della Corte d’Assise di Varese si sono ritirati in camera di consiglio per decidere se sentire o meno come testimone l’avvocato bresciano Piergiorgio Vittorini. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
Sono trascorsi 30 anni dal delitto di Lidia Macchi, ed oggi si è aperto il processo in Corte d’Assise a Varese a carico di Stefano Binda, presunto assassino della studentessa. Al centro della prima udienza, iniziata con un colpo di scena, la lettera inviata alla famiglia della vittima il giorno del suo funerale e contenente la poesia dal titolo “In morte di un’amica”. Secondo la difesa dell’uomo, il vero autore del componimento anonimo si sarebbe fatto avanti, e questo scagionerebbe Binda dalle accuse. A tal fine, gli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli, come rivela l’agenzia di stampa Ansa, hanno chiesto che l’avvocato del presunto vero autore e che lo scorso 4 aprile ha inviato una lettera alla difesa, alla Corte d’Assise e alla Procura di Varese rivelando questo clamoroso colpo di scena, possa essere sentito in aula, pur non essendo presente nella lista testi. La madre di Lidia Macchi, Paola Bettoni, nel corso di una pausa della prima udienza del processo a carico di Stefano Binda e costituitasi parte civile (insieme ai fratelli Stefania e Alberto Macchi), ha commentato: “Non voglio un colpevole a tutti i costi ma voglio che si faccia chiarezza dopo tanti anni”. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
E’ cominciato oggi a Varese il processo sul cold case relativo all’omicidio compiuto nel gennaio 1987 della studentessa di Varese Lidia Macchi. Un caso che è stato riaperto circa un anno fa quando una testimone ha detto di aver riconosciuto la calligrafia di Stefano Binda, ex compagno di scuola della giovane, nella lettera anonima arrivata alla famiglia Macchi pochi giorni dopo il delitto e che descriveva proprio il fatto. Una perizia calligrafica ha confermato la tesi e Binda è finito in carcere accusato di aver ucciso Lidia con numerose coltellate dopo un tentativo di stupro. Lui si è sempre dichiarato innocente, nella sua storia è spuntato fuori l’uso, ai tempi, di eroina ma niente altro. Oggi in aula la madre di Lidia Macchi che insieme ai fratelli è parte civile nel processo. In lista circa trecento testimoni da sentire. Ma la prima udienza si è aperta subito con il colpo di scena: l’avvocato difensore di Binda ha infatti detto di essere stato contattato giorni fa da un collega di Brescia in qualità di rappresentante di un uomo che ha dichiarato di essere lui l’autore della lettera. In tal caso tutto o quasi il castello accusatorio crollerebbe, ma la coincidenza appare alquanto strana: perché aspettare il primo giorno del processo per parlare e perché rimanere anonimi? L’omicidio Lidia Macchi è ricco di depistaggi anche palesi, e di errori clamorosi ad esempio la distruzione da parte del magistrato che seguiva il caso del dna trovato sulla vittima. Secondo l’avvocato difensore non è strano che questa persona sia uscita fuori solo adesso: “Probabilmente per l’illogico assioma per cui l’autore della lettera sarebbe anche l’assassino di Lidia Macchi”. Binda è in carcere dal 15 gennaio 2016, si è sempre rifiutato di rispondere alle domande degli inquirenti. In aula Paola Bettoni, mamma di Lidia: “Dopo trent’anni di sofferenza finalmente si apre il processo sulla morte di mia figlia, spero che emerga la verità”.