La guerra continua in Siria, ufficialmente contro l’Isis ma con le ultime uscite degli Stati Uniti contro il governo di Damasco, anche la posizione di Assad come leader solido nella lotta al terrorismo di Daesh è alquanto a rischio. Oggi intanto, riporta l’Ansa Med, l’inviato speciale Usa per la Coalizione anti-Isis tra Siria e Iraq, Brett McGurk, si è recato oggi in territorio siriano, nella zona a maggioranza curda, nel nord-est al confine con Turchia e Iraq, dove ha incontrato leader militari delle forze anti-Isis guidate dalle milizie curdo-siriane. L’offensiva chiave è ovviamente quella di Raqqa, che potrebbe avvenire già nei prossimi giorni: nel frattempo, come rivela ancora l’Ansa Med nello stesso messaggio, oggi pomeriggio si sono tenuti intensi scontri armati nel sud della Siria al confine con la Giordania tra forze lealiste e miliziani delle opposizioni armate. Da ultimo, «esanti raid aerei governativi sono in corso su Daraa, capoluogo meridionale, e dintorni. Le opposizioni rispondono con l’artiglieria e la contraerea», dichiarano le fonti Ansa e Reuters.
Mentre si aprono le nuove conferenze di pace a Ginevra sulla Siria, e mentre Usa e Russia discutono a distanza sulle ultime accuse lanciate da Trump contro Assad e contro le carceri che torturano e bruciano nei forni crematori i prigionieri, giungono novità propio su questo ultimo fronte, con alcuni testimoni sopravvissuti che raccontano l’orrore provato all’interno del carcere di Saydnaya. In particolare è Omar Abu Ra, 28enne ex studente arrestato nel 2012 dal regime di Bashar al Assad con l’accusa di aver partecipato a manifestazioni contro il presidente, È finito nel carcere denunciato dagli Usa all’Onu e il racconto che fa oggi alla collega di Repubblica è agghiacciante: «Non ci sono parole per descrivere l’orrore. Vivevamo in 50 in una cella di 10 metri per cinque. Qualche volta eravamo 70. Cinque giorni a settimana, nel pomeriggio, venivamo convocati per le sessioni di tortura: duravano ore, se eravamo fortunati».
Nello specifico, le torture sono descritte come atroci e come lunghissime: «A volte solo nel costringerci a stare in piedi. Altre volte eravamo infilati in una ruota, in modo che spuntassero solo mani e piedi: e ci colpivano con cavi elettrici. In condizioni normali si andava dalle 30 alle 40 sferzate. Ma se c’era una sconfitta militare, un avanzamento dei ribelli, le sferzate diventavano centinaia».
Non rimane una promessa elettorale, ma per il nuovo presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in il dialogo con la Corea del Nord per evitare i guai di una eventuale “guerra mondiale” nel giardino di casa tra gli Stati Uniti alleati e il regime di Pyongyang. La Corea del Sud ha detto avviso pubblico di voler riaccendere i canali di comunicazione con i “cugini” sotto il regime comunista: «l governo ha espresso la posizione che il canale di dialogo intercoreano debba essere riavviato – ha affermato Lee Duk-haeng, portavoce del ministero dell’Unificazione – Il ministero sta esaminando i modi per farlo, ma non ci sono ancora passi specifici». La decisione di Moon rientra nell’ottica di una nuova distensione ricercata e sostenuta da Giappone, Cina e Russia, e in fondo caldeggiata anche dagli stessi Usa di Donald Trump, ora impegnato in un guaio maggiore in casa propria, con i rischi “impeachment” sul caso RussiaGate. I principi chiave del neo presidente di Seul sono chiari e ribaditi anche in questi primi giorni dall’insediamento: «stop al nucleare da parte di Pyongyang e dialogo diretto tra i due Stati». Il progetto decollerà?
Il giorno dopo l’accusa gravissima e inquietante degli Usa alla Siria di Assad sulla presenza di forni crematori a Saydnaya – dove Damasco farebbe prima impiccare 50 prigionieri al giorno e poi brucerebbe nei forni per cancellare le prove – arriva la pronta replica di Damasco, rilevando una tensione purtroppo assai vicino ad una escalation ripida verso la guerra mondiale. «Uno scenario hollywoodiano totalmente infondato, un prodotto della fantasia dell’amministrazione Trump e dei suoi agenti, situazione completamente disconnessa dalla realtà»: le parole del Ministro degli Esteri, riportato dall’agenzia ufficiale Sana, sono durissime e mostrano una totale respinta al mittente delle accuse di genocidio.
Prove specifiche ancora l’amministrazione Trump non le ha tirate fuori, anche se la Cava Bianca si è detta certa di poterle produrre alla Nato e all’Onu: intanto gli elementi su cui si basa il Dipartimento di Stato è la presenza di neve sciolta sul tetto di un edificio secondario e di strutture che potrebbero essere prese d’aria e di ventilazione.
La verità o la “fake news”, ancora una volta il destino immediato di uno scontro presunto o reale si gioca su un filo sottilissimo dove la diplomazia dovrà soffermarsi nelle prossime settimane. I crimini in quella terra purtroppo sono tantissimi, che sia Assad, i ribelli, l’Isis o gli agenti sotto copertura, poco “importa”, deve finire al più presto possibile. I continui dissidi Usa-Russia-Damasco non aiutano però a far svelare almeno un lembo di verità sulle migliaia di vittime che ogni anno lascia sul campo di guerra la tormentata Siria..
Dopo la rivelazione della Casa Bianca di prove certe sull’utilizzo di forni crematori di Assad in Siria contro i prigionieri politici e civili, gli Stati Uniti tornano ad essere nel mirino della Russia che vuole vedere le prove che condannerebbe il principale alleato di Putin, dopo l’Iran. Assad resta il nemico n1 come già detto da Trump per la soluzione del caos-guerra presente in Siria: «non sarà sicura e stabile finché Assad sarà al potere», rivela il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, spiegando come gli Usa sono pronti a collaborare anche con Russia e Iran per risolvere la crisi siriana.
«Putin e Rohani devono però tener sotto controllo ed esercitare la loro influenza sul regime di Assad», spiega ancora Spicer. La terza guerra mondiale forse (e per fortuna) è ancora presto per poterne minacciare – come invece avviene giustamente e in maniera inquietante sulla crisi della Corea del Nord – lo scoppio, anche se il nodo siriano resta uno dei focolai più intricati al mondo.
Oggi il vertice tra Trump e Erdogan chiarirà il fronte curdo nella lotta contro l’Isis, dove Assad è ovviamente implicato in prima battuta: le armi fornite dagli Usa ai ribelli curdi hanno fatto infuriare la Turchia e Trump dovrà riuscire a districarsi dai tanti nodi creati per poter arrivare ad una posizione chiara, forte e netta anche per il futuro stesso di una eventuale Siria post-Assad (evitando se possibili i disastri dei precedenti Iraq e Libia, ndr…).