Chi conosce la Val di Susa, chi più in generale ama la montagna, i suoi silenzi, il suo verde, non può gioire per lo scempio ambientale causato dalla Tav. Chi conosce la Val di Susa e la immagina boscosa e segreta così come la attraversava il diacono Martino per far strada ai Franchi bellicosi, chi l’ha sentita raccontare dai vecchi, una zappata all’orto e un sguardo alle croci, lassù, sa le mille ferite di uomini aggrappati alle sue pendici, rifugiati nei suoi anfratti, i loro canti poderosi e dolenti, che parlavano di casa, di amore lontano, di Dio. In qualche passeggiata tra i rododendri capita ancora di trovare qualche bossolo, qualche scatola di sardine arrugginita, confusa tra le pietre. Chi ama questa valle conosce i balzi furtivi dei caprioli, le tane delle lepri, il nido dell’aquila. Sempre più rari, da proteggere o immortalare in quadri o racconti.
Perchè prima della Tav tanti anni fa è arrivata l’autostrada, e prima ancora il buco grande della montagna, il traforo del Fréjus, e dire che sembrò opera di ingegno e di braccia, che ha reso orgogliosi operai e valligiani. La Francia, parente e nemica, era più vicina. Poi sono arrivate le piste da sci, tra le più belle e lunghe d’Europa, e l’autostrada è ora un nastro continuo di luci, di automobili e camion, lungo il suo percorso si sprigionano fumi mefitici, che colorano i tramonti, ma significano veleno. Potenziare la linea ferroviaria con i treni veloci è fatalmente necessario. Non per il plauso ad un indefinito progresso, ma per smaltire le code al confine, perché il traffico su strada non è meno dannoso per l’aria e la gente. Si poteva discutere prima e meglio, coinvolgere in altro modo i valligiani anziché perdere anni e denaro in progetti rivedibili e peraltro rivisti. Ma c’è un lavoro da finire, al meglio per tutti, e lavoro da dare, per tanti che ne hanno bisogno. Quel che ci chiede l’Europa, che troppe volte ci impone, non è sempre indolore né bello. Ma se utile e giusto, si deve fare.
Da anni quella valle preziosa di natura e di storia, le rovine romane, le chiese medievali, i suoi castelli, è dilaniata da battaglie continue, combattute da chi nella valle non vive, non vivrà. C’era la protesta degli abitanti, all’inizio, con i loro sindaci, che adesso si indirizza contro quelle truppe venute da lontano, per cui la Tav è un pretesto, la lotta (ancora “continua”, per molti) è contro a prescindere, il governo, il sistema, la realtà che non ti piace e non si sa come amare.
Tocca ancora una volta ricordare Pasolini, e i suoi strali inascoltati contro i giovani borghesi che prendevano a sassate i poveri poliziotti, negli scontri che precedettero gli Anni di Piombo. Quei ragazzi armati di molotov, chiodi, cesoie, maschere antigas non sono eroi. Nulla giustifica la loro violenza, mossa dall’ideologia asservita ad altri padroni, ad una rabbia che è solo distruttiva e cerca nemici, muri da abbattere per darsi un senso e uno scopo.
Il Procuratore di Torino Giancarlo Caselli, rischiando parecchio, ha messo in guardia dai colpevoli silenzi di certa politica bisognosa di consensi nella sinistra più radicale, di tanti intellettuali che ancora una volta giustificano, spalleggiano, in buona o malafede, immemori dei disastri al paese e alle persone che tanti cattivi maestri hanno generato. Gianni Vattimo, un tempo filosofo capace di incantare gli studenti, di aprirsi con loro a dialoghi profondi e arditi, non ha più pensieri deboli da offrire e la saggezza della vecchiaia non lo salva dalla provocazione cattiva. Tra le sue ultime gesta, la visita in carcere ad alcuni militanti no Tav, accompagnato da altri manifestanti in veste di presunti assistenti, a portare solidarietà e magari dipanare strategie. Non si può, non si dovrebbe.
Ricordo sommessamente che un giornalista e politico come Renato Farina è stato colpito senza pietà per aver visitato in galera Lele Mora accompagnato da un suo giovane amico. Ad alcuni è lecito ciò che ad altri non è. Sarà la patente dell’intellettuale. Uno scrittore sensibile e libero come Erri De Luca critica aspramente Caselli, prendendolo per visionario. Ma quale arsenale, ma quale terrorismo. Resistenza pacifica, sabotaggio necessario, perché la Tav non s’ha da fare, punto.
De Luca, che si è salvato dal buio degli anni di guerra, che ha scelto lo studio al posto delle bombe, la solitudine al posto dei cortei armati di P38 non ricorda, o finge di non vedere. Le proteste in Val Susa non sono civili, non sono innocenti, non sono indenni da pericoli, sono l’agone dove si addestrano militarmente i nuovi “compagni che sbagliano”. Chi li ha protetti un tempo non ha chiesto scusa né pagato per la svista. Stia più attento stavolta.