«Una società che non combatte e risolve il problema della povertà è una società dove la fiducia cala, una società che cresce meno, una società che diventa più violenta». A dirlo è Corrado Passera, Ceo di Intesa-San Paolo, uno dei più grandi gruppi bancari europei. «L`impegno per combattere la povertà – continua – è giusto in sé. Ma è anche indispensabile se si vuole tenere insieme la società e non rischiare derive pericolose: non è certo il nostro caso, ma la storia dimostra che quando una parte della società entra in uno stato di stress insopportabile, ne soffre la democrazia, e la tenuta delle istituzioni diventa a rischio».
Sabato prossimo, 29 novembre, c’è la giornata nazionale della Colletta alimentare, la raccolta di alimenti che si svolge in tutta Italia organizzata dal Banco Alimentare. In piena crisi economica, quando verrebbe da pensare che tutti vogliano tenersi stretto quello che hanno, la carità non si ferma e il Banco lavora per venire incontro a chi ha bisogno. «Quella del Banco Alimentare è una formula straordinaria per efficacia. Aiuta concretamente milioni di persone, contribuendo a risolvere la necessità primaria del cibo. Lo fa in maniera continuativa e non estemporanea con una macchina organizzativa molto efficiente e poco costosa. In più coinvolge nel dono milioni di persone, che è un fatto fondamentale. Lo stesso risultato economico raggiunto con un unico assegno avrebbe immensamente meno forza di quello che scatena il Banco Alimentare, grazie alla larghissima partecipazione che sa sviluppare».
Ma non si può parlare di povertà senza scomodare le politiche di welfare. Alle quali la crisi economica manderà, prima o poi, il “conto” dello stato di sofferenza sociale che si verrà a creare nel Paese. «Viviamo comunque – dice Passera – in un continente e in un paese che assicura un livello di welfare che il resto del mondo si sogna. Quando qualcuno disdegna il welfare come conquista della nostra società occorre ricordarlo e non dimenticarsi che il resto del mondo guarda all`Europa, e per certi aspetti all`Italia, con grande invidia. Detto questo, l`attuale welfare, nella sua sostenibilità soprattutto nel campo della sanità, dell`assistenza, della previdenza, sia per l`effetto dell`invecchiamento (che è un`alta conquista dell`umanità) e della natalità, sia per l`effetto dell`immigrazione, è purtroppo a rischio e deve ristrutturarsi per sopravvivere e per continuare a garantire il suo ruolo».
Occorrono quindi altre soluzioni e l’incapacità dello Stato di far fronte al costo sociale della povertà è sempre più evidente. «È chiaro che il “pubblico” – prosegue Passera – non sarà in grado di assicurare da solo il livello di servizi di cui una società in grande trasformazione come la nostra avrà bisogno nei prossimi anni. Questo lascia spazio al ruolo che il non-profit, l`impresa sociale, il volontariato potranno svolgere nel nostro Paese. Con le nostre banche e le fondazioni nostre azioniste, nel rispetto di un`antica tradizione, abbiamo sempre sostenuto la nascita e lo sviluppo di progetti nel terzo settore».
Resta aperto il problema di una politica del credito. Di fronte alla povertà c’è chi non ha mai smesso di invocare un salario minimo per tutti, o forme più calibrate di garanzia come il micro credito. «Dobbiamo ulteriormente facilitare l`accesso al credito a tutti quei settori, come l`impresa sociale, che lo meritano ma che hanno avuto difficoltà in passato a trovare ascolto. Nel Sud del mondo il micro-credito consiste in prestiti di pochi dollari, da noi il micro-credito prende forme diverse. Micro-credito è, per esempio, il “prestito d`onore” agli studenti, micro-credito è finanziare i cassintegrati fino a quando l`Inps interviene con il sussidio, oppure finanziare le famiglie meno abbienti per assumere una badante».
Tra un intervento come questo e il “minimo salariale”, la posizione di Passera è molto elastica. «C`è spazio per tutto – dice -, sia per un terzo settore più forte, sia per ammortizzatori sociali di cui l`Italia oggi manca. Oggi soffriamo di rigidità antistoriche e di una tutela inadeguata contro la disoccupazione, quando dovremmo invece puntare su maggiore flessibilità e adeguati ammortizzatori sociali. Dobbiamo evitare però gli errori fatti in altri paesi, dove un “eccesso” di ammortizzatore sociale disincentiva l`uscita dalla disoccupazione stessa».
Affrontando un tema caldo come quello della povertà, non si può non parlare, come sempre accade nel nostro Paese, di contraddizioni geografiche, crescita, redistribuzione della ricchezza. «Su molti interventi c`è grande consenso, il fatto è che poi non facciamo ciò che diciamo. Un caso emblematico – prosegue Passera – è quello delle infrastrutture e dei decenni necessari a realizzarle. I nostri meccanismi decisionali in tutti i settori delle istituzioni e della Pubblica amministrazione si bloccano con troppa facilità e il costo per il Paese è enorme. Quanto alla redistribuzione della ricchezza, è un tema squisitamente politico. Invece dobbiamo sentirci tutti responsabili di accelerare la crescita economica sostenibile. Se non c`è crescita economica non ci sono risorse da redistribuire, e da troppi anni non cresciamo abbastanza».
Di fronte a chi ha bisogno don Luigi Giussani parlava di semplice atto di carità cristiana. Viene da chiedersi se non sia proprio questo uno dei fattori di coesione, anche sociale, di cui le nostre società vivono più oggi la mancanza. «La carità – conclude Passera – ha un particolare significato per un cristiano e magari per un laico ne ha un altro. Ma il dono e il donarsi è uno dei grandi motori della società. Oggi si tende da parte di troppi a ridurre la società alla sua componente economica, considerando i cittadini solo dei consumatori e in generale le persone solo come portatrici di interessi particolari. In realtà la società si tiene insieme e si evolve grazie a valori che trascendono ciò che è conveniente e ciò che è contingente, grazie proprio a questo darsi senza misura, comunque senza calcolo».