Il 4 dicembre del 1968 faceva l’ingresso nelle edicole e nella case degli italiani il primo quotidiano nazionale «d’ispirazione cattolica»: Avvenire. Un progetto fortemente voluto e strenuamente portato a compimento dall’allora pontefice Paolo VI, al fine di dotare i cattolici di una voce pubblica e di un mezzo di comunicazione che fosse anche strumento di evangelizzazione.
Dino Boffo è alla guida del quotidiano dal 1994: una guida forte, che ha saputo portare il quotidiano cattolico nel pieno del dibattito culturale e politico italiano, non di rado con atteggiamento deciso e combattivo.
Direttore, Avvenire compie 40 anni, e la ricorrenza è un’occasione per ritornare all’origine di un quotidiano tanto importante per la storia recente del nostro Paese e della Chiesa italiana. Qual è questa origine?
All’origine di un giornale come Avvenire c’è la volontà di offrire uno sguardo e una prospettiva cattolica, a partire dalla quale giudicare i fatti di cronaca e gli avvenimenti politici, sociali e culturali. Un punto d’osservazione cattolico per un giudizio su tutto ciò che accade, e che viene messo in pagina dai quotidiani: è questa la singolarità del nostro giornale, e il motivo per cui rimane una testata non facilmente imitabile. La volontà dei “padri fondatori” era propria quella di inserire nei media, rendendola presente e capace di incidere sulla società, una tale prospettiva sui fatti. Questo è stato Avvenire nei suoi 40 anni di storia, nelle varie sollecitazioni che, in momenti diversi, venivano a presentarsi al mondo cattolico.
Tra i tanti cambiamenti avvenuti in questi 40 anni, qual è stato quello che più significativamente ha influito sul modo di fare il vostro giornale?
Quanto accaduto all’inizio degli anni ’90: fino ad allora Avvenire è stato uno strumento di accompagnamento critico di quella che era un’effettiva unità politica dei cattolici. Venuto meno il partito unitario di riferimento, Avvenire ha in qualche modo rivisto il suo ruolo, diventando esso stesso il foglio apripista di un’unità non più politica, ma culturale dei cattolici. E questo è ancora oggi ciò che il nostro giornale cerca di essere all’interno delle diverse problematiche di cui si parla sulla stampa. Avvenire si giustifica, diciamo così, solo se fa questo sforzo; se non lo fa, si banalizza, diventando un foglio qualunque, di cui non c’è alcun bisogno.
Giornale cattolico, ma non “esclusivamente” cattolico: Avvenire parla di tutto, e a tutti. Cosa significa fare informazione da cattolici, mantenendo questa impostazione laica?
Non vuol dire altro che applicare il motto del pontificato di Benedetto XVI: leggere la vita secondo ragione, e proporre riflessioni, commenti e piste di esperienza che siano conformi alla razionalità umana. Noi siamo convinti che la radice della razionalità e il suo esito finale non possa che essere l’incontro con Nostro Signore. Nell’esercizio di questa razionalità dobbiamo cercare una condivisione la più ampia possibile: noi non vogliamo proporci per il fatto di portare lo stemma dei vescovi sulla testata, ma per la capacità di sviluppare un ragionamento che umanamente si autogiustifica, che umanamente si spiega, e che dà senso alla vita. In questo senso vogliamo parlare non solo ai cattolici, ma a tutti, con il linguaggio della razionalità.
Avvenire è anche la voce della Conferenza episcopale italiana: qual è lo stato del rapporto tra Cei e società italiana, alla luce della lunga e significativa presidenza di Ruini e del passaggio di testimone a Bagnasco?
L’approccio della Cei nei confronti della società italiana non è certo stato in questi anni quello di salvaguardare i diritti e i privilegi della Chiesa, quanto quello di salvare l’umano dalla vita dell’uomo. Questa è stata la preoccupazione dominante della Conferenza episcopale italiana: e in questo c’è una continuità perfetta tra il cardinal Ruini e il cardinal Bagnasco. Quello che so è che entrambi hanno come prioritaria questa preoccupazione: salvare l’umano dall’uomo, facendo in modo che le generazioni future abbiano a disposizione il capitale di umanità che abbiamo noi oggi, un capitale non consunto o superato da un’impostazione di vita diversa da quella che pone al centro la stessa persona umana.
Il grande messaggio culturale di Benedetto XVI, cui già lei ha accennato, si incentra sull’affermazione dei valori non negoziabili: vita, famiglia, libertà di educazione. Qual è la posizione della società, della cultura e dell’informazione italiana di fronte a questi principi?
Non ci dobbiamo scoraggiare nel constatare che la società sembra non trovarsi a suo agio rispetto a questi principi, che pure vengono ricordati per il benessere della società stessa, non certo per il benessere della Chiesa. C’è un’opinione diffusa secondo cui una Chiesa che afferma questi principi è in fondo non appropriata, una Chiesa che guarda indietro e che non punta a inserire il cristianesimo nel contesto della modernità. Società e, soprattutto, media sembrano refrattari a questi valori; tuttavia, non dobbiamo allarmarci, e di volta in volta, di giorno in giorno, di problema in problema dobbiamo guardare come proporre nel concreto tali principi. E mi pare di poter dire che queste proposte alla fine giungono a destinazione nella misura in cui sono vissute sul fronte della concretezza. Se ci limitiamo ai grandi proclami, su questi non troveremo mai un terreno di incontro; sulle cose e sui problemi della vita io credo che l’incontro sia sempre possibile.
Ci aiuti a fare una panoramica su come ciascuno di questi valori viene affrontato nel dibattito pubblico.
Sulla difesa della vita c’è un approccio schizoide, nel senso che per salvare una vita umana già affermata si è disposti a versare tutte le risorse possibili, sulla base della convinzione ormai acquisita che una vita debba sempre essere salvata; quando invece si tratta di una vita che ancora non si vede, o che conta poco, o che è in fase declinante, allora si ritiene che non valga più la pena, quasi fosse una vita ormai priva di dignità in quanto non capace di godere di se stessa. Noi crediamo invece che la vita sia vita sempre, dal momento in cui si è accesa al momento in cui naturalmente si spegne. Sulla famiglia, poi, è diffusissima la convinzione che essa sia il caposaldo della società, e si è talmente convinti di questo che si vorrebbe esportare il modello anche in altre situazioni, che sono improponibili. Anche qui un approccio schizoide: si stima così tanto il concetto di famiglia che lo si vorrebbe distruggere, coniugandolo con situazioni che con la famiglia hanno poco a che vedere. Ma dove siamo veramente ancora agli inizi è la libertà di educazione.
E non per nulla è uno dei temi su cui sempre più spesso la Cei e il Papa insistono. Perché siamo solo agli inizi?
Perché non vedo assolutamente punti di chiarezza su questo versante, e quando sembra che qualcosa si scorga, subito dopo si fa un passo indietro. Io mi auguro, ad esempio, che i tagli che sono stati applicati in queste settimane al comparto scolastico siano tagli provvisori, e che – come è stato detto – a gennaio le risorse vengano restituite. Anche perché sono una parte veramente minima di ciò che si può richiedere sul versante della libertà educativa. Quello che per parte nostra dobbiamo continuare a fare è offrire esperienze scolastiche che abbiano un grande fascino e una larga fruizione, perché l’interpretazione che noi diamo di scuola è veramente accattivante. Inoltre dobbiamo continuare a combattere sul piano culturale e sul piano politico perché questa nostra esperienza sia del tutto legittimata e assunta nel sistema educativo e scolastico dello Stato. Lo Stato non è l’ente che organizza l’educazione, ma l’ente che garantisce ai soggetti di esplicare il loro compito educativo. O questo avviene, o noi rimaniamo attaccati all’Ottocento.
Da ultimo, uno sguardo al futuro: sulla base della situazione appena descritta, qual è la prospettiva per Avvenire, per i media cattolici, e per tutti i cattolici impegnati nel mondo dell’informazione?
Dobbiamo essere ottimisti sul futuro, perché vedo che il nostro punto di partenza riesce a farsi valere anche là dove noi non lo sospettiamo. C’è oggi una ricerca, una voglia di autenticità, di verità, di solidità di esperienza che forse vent’anni fa non c’era. Queste attese portano la gente vicino a noi. Per questo dobbiamo essere decisamente fiduciosi che il cammino che ci attende è un cammino nel quale noi riusciremo a esplicare noi stessi dando risposte accolte e apprezzate sempre più dalla società.
(Rossano Salini)