Sono due i diversi punti su cui sta battendo la difesa di Massimo Bossetti in questi giorni. L’ormai ben nota prova del DNA potrebbe giocare ancora una volta un punto a sfavore del muratore di Mapello, ma come riporta Giallo, i difensori del Bossetti sono decisi anche a richiedere una pena diversa dall’ergastolo comminato in prima istanza. “E’ sempre aperto il dibattito sula compatibilità dell’ergastolo, appunto “perpetuo”, con i principi sanciti dalla Costituzione, secondo cui il carcere deve rieducare il condannato”. Ecco perché la condanna prevista per Massimo Bossetti concederà comunque al detenuto di usufruire di alcuni benefici penitenziari, come la libertà condizionale al compimento di 26 anni di carcere o la riduzione a 21 anni di detenzione in caso di buona condotta. A questo si aggiunge la possibilità di avere la semilibertà dopo i 20 anni. Tutto questo ovviamente solo se la pena venisse confermata.
Aveva chiesto di ripetere il test del Dna Massimo Bossetti prima di essere condannato in primo grado all’ergastolo per la morte di Yara Gambirasio. Secondo l’esperto genetista Giorgio Portera, consulente della famiglia di Yara Gambirasio, come si legge sul settimanale “Giallo”, la traccia biologica ritrovata sugli indumenti della 13enne di Brembate uccisa nel novembre del 2010 apparterrebbe a Massimo Bossetti. Lui si è sempre dichiarato innocente e continua a farlo anche ora che è stato condannato. Il suo legale Claudio Salvagni, come si legge su Urbanpost.it, ha confermato a Radio Cusano Campus che “sta cercando piste alternative. Stiamo lavorando tutti come prima e più di prima. Vogliamo arrivare a chiudere il cerchio. Alcune piste, che erano scritte negli atti dell’accusa, non sono state a nostro parere sufficientemente valorizzate. Vanno completate le indagini e verificate tante altre cose”. Staremo a vedere se in vista del ricorso in appello, annunciato dagli avvocati di Massimo Bossetti dopo la sentenza, sarà accolta la richiesta di ripetere il test del Dna.
Il processo di primo grado a carico di Massimo Bossetti, giudicato dalla Corte di Bergamo l’assassino di Yara Gambirasio e per questo condannato all’ergastolo, è ruotato quasi interamente attorno alla prova regina del Dna. Una prova granitica risultata impossibile da smontare dalla difesa del muratore di Mapello che ha tentato in tutti i modi di far crollare, fino alla fine, la teoria che quello ritrovato sugli indumenti della tredicenne di Brembate uccisa nel novembre del 2010 fosse proprio di Bossetti. A due settimane dalla sentenza di condanna, a prendere la parola sulle pagine del settimanale “Giallo” è stato l’esperto genetista Giorgio Portera, consulente della famiglia di Yara Gambirasio, il quale ha espresso il suo parere proprio sulla controversa questione del Dna. “Non abbiamo mai avuto dubbi sulla paternità della traccia biologica ritrovata sopra ai vestiti di Yara”, ha dichiarato sulle pagine del settimanale diretto da Andrea Biavardi. “I dati in nostro possesso erano più che sufficienti per attribuire piena compatibilità tra Ignoto 1 e Bossetti. Rifare l’esame sarebbe stato inutile perché avrebbe portato allo stesso risultato”, ha aggiunto il genetista. L’ipotesi di ripetere i test sul Dna era stata avanzata anche da Massimo Bossetti nel corso delle sue dichiarazioni spontanee rese prima della lettura della sentenza, ma a nulla sarebbe servito in vista della condanna al carcere a vita inflittagli, in attesa dei prossimi due gradi di giudizio. L’intera inchiesta sul delitto di Yara Gambirasio, come già detto, è ruotata interamente intorno al Dna, in merito al quale l’accusa a più riprese si è sempre espressa in aula con le seguenti parole: “Il Dna è un macigno contro Bossetti, una prova granitica e inconfutabile della sua colpevolezza”. Prima di attribuire la traccia rinvenuta sugli slip e sui leggings della vittima al suo assassino, sono stati eseguiti 25 mila test. Nel corso del processo durato un anno, la difesa di Massimo Bossetti ha tentato più volte di smontare la prova regina insinuando il dubbio presso i giudici, ma a smentire i due avvocati dell’imputato sono sempre stati dati certi, quindi inconfutabili.