Nonostante l’attenzione sia focalizzata solo sul Nordafrica e sulla Libia, molti segnali indicano che la polveriera forse più pericolosa per il nostro Paese e per l’Europa non si trova sulla sponda sud del Mediterraneo ma su quella est, nei Balcani. È di ieri la notizia di un attentato ad un commissariato di Polizia in Bosnia, a Zvornik, nei pressi del confine con la Serbia, terra storicamente turbolenta e caratterizzata da frizioni etnico religiose e inimicizie secolari.
Un uomo ha fatto irruzione nel commissariato locale aprendo il fuoco, uccidendo un agente e ferendone altri due, prima di essere ucciso a sua volta dagli agenti presenti. Secondo quanto riportano i media bosniaci citando il ministro della sicurezza Dragan Mektic, l’uomo avrebbe fatto parte di un gruppo estremista di matrice islamica di ispirazione wahhabita, la scuola di pensiero maggioritaria in Arabia Saudita.
Proprio a due passi dalla nostra frontiera orientale il salafismo ha attecchito con grande semplicità e vanta già numerosi proseliti, cittadine intere in cui questa deformazione dell’Islam è maggioranza assoluta; del resto in quell’area è passata la mano pesante dell’Impero Ottomano e con essa molte delle fratture etniche e religiose che in questo ventennio ne hanno insanguinato la terra e le menti. E a nessuno è sfuggito che durante gli anni della guerra di Jugoslavia molti guerriglieri islamici hanno preso parte alle battaglie per poi stabilirsi lì, divenendo cittadini di questo o quell’altro stato emerso dalla disgregazione dell’impero di Tito.
È chiaro e conosciuto alla comunità internazionale, che su questo prosegue un lungo quanto ingiustificato sonno della ragione, che nella zona dei Balcani persiste un’estremizzazione sempre più marcata, che fa proseliti e allarga progressivamente il suo bacino consensi soprattutto fra le popolazioni isolate dei villaggi e le periferie delle grandi città. Anche Isis ha messo radici in quel territorio, visto che le cifre dei combattenti balcanici passati per Siria e Iraq sono a tutt’oggi piuttosto incerte: c’è chi dice un centinaio ma c’è anche chi si spinge oltre i quattrocento.
Ad oggi non è dato sapere con certezza quanti da quelle terre si siano incamminati verso Damasco e Baghdad per combattere il jihad a fianco degli uomini del Califfato, ma sta di fatto che quello balcanico è un serbatoio assai ampio per il jihadismo internazionale. Sempre in Bosnia, e questo riguarda anche l’Italia, è stato arrestato come molti ricorderanno il predicatore estremista Bilal Bosnic accusato di arruolare jihadisti da inviare in Siria e Iraq, il quale aveva tenuto delle prediche nel nostro Paese e più volte vi aveva viaggiato, toccando alcune province del Nord.
Un dettaglio di non poco conto se abbiamo davanti la cartina geografica e ci accorgiamo come quei territori e l’Italia siano divisi praticamente da una lingua di mare, nemmeno troppo difficile da attraversare. E da frontiere spesso semplici da oltrepassare. Il jihadismo si sta risvegliando nei Balcani, a due passi da casa nostra e in un territorio storicamente esplosivo, ma per ora si preferisce guardare altrove, come si fece per la Siria, l’Iraq e la Libia. Per qualcuno, ormai è chiaro, l’acqua diventa alta solo quando si sta per affogare.