Fermati, guarda, ritorna. Sono questi i tre imperativi che Papa Francesco ha individuato durante la Santa Messa del Mercoledì delle Ceneri per questa Quaresima. E sul concetto di battaglia, di lotta interiore contro il male che seduce, il Pontefice è tornato ancora ieri durante il suo primo Angelus quaresimale in piazza san Pietro.
Sotto una pioggia scrosciante, Bergoglio ha invitato i presenti a non cedere alla tentazione dello scoraggiamento e a combattere per la propria conversione. Ma che senso hanno questi inviti, queste affermazioni, davanti ad un popolo e ad un mondo che pare non comprendere più il linguaggio cristiano e le parole della Chiesa? Abitiamo un tempo in cui la parola lotta ha profondamente mutato significato: oggi non si combatte più per cambiare un sistema o per realizzare un ideale, ma si scende in battaglia solo per dimostrare di avere ragione, per umiliare l’altro, per riaffermare sé a qualunque costo.
Si dice che la diffusione dei social sia una delle cause di questo clima barbaro e selvaggio che avviluppa le principali discussioni del nostro tempo. In parte è vero: non c’è questione, dalla politica alla religione, dalla cronaca alla vita personale, che le piattaforme social — compresi anche i servizi di messaggistica — non esasperino e ingigantiscano, alimentando circuiti perversi di disinformazione e di svilimento della dignità umana. Eppure i social non sono la causa di tutto questo, bensì lo specchio di qualcosa che è avvenuto nella società: la perdita progressiva di contatto con il reale, con le conseguenze che i nostri atti comportano. È come se tutto quello che si fa non dovesse più confrontarsi con una responsabilità, anzitutto morale, dinnanzi alla vita. Ciò che domina è un’ultima ostinazione nell’affermare se stessi, le proprie ragioni, i propri diritti.
La lotta di cui oggi in tanti siamo protagonisti è una lotta affinché l’altro cambi, ci riconosca e si “redima”, iniziando a pensare come noi pensiamo. Siamo diventati un popolo di correttori automatici in cui quello che conta davvero è la nostra battaglia perché chi ci interessa — vicino o lontano che sia — si arrenda e si unisca al nostro “sentire”. La politica forse ci offre in questi giorni l’esempio più significativo. Tra coloro — molto pochi a dire il vero — che hanno deciso chiaramente che cosa votare l’unico passatempo sembra essere sfidare e costringere l’altro a passare dalla nostra parte, associando al voto una caratteristica da giudizio universale: “se sei un vero cristiano”, “se sei antifascista”, “se ti interessa davvero il tuo paese”, “se non vuoi essere complice”, “se sei onesto” allora vota come ti dico io. Ma questa è la fine di una nazione ed è la fine di qualunque relazione. Quando in un matrimonio, in un’amicizia, in un lavoro o in una comunità si arriva al “se” vuol dire che il dialogo non c’è più, che la Verità non è qualcosa che ci precede e che insieme cerchiamo di non perdere d’occhio, ma è qualcosa che io penso già di avere e che tu devi riconoscere.
Quando il Papa ci chiede di pensare alla lotta interiore è come se volesse richiamarci, tutti quanti, a qualcosa che viene prima della mia sensibilità e delle mie opinioni, ovvero il bisogno di fare pace con me stesso e con la storia che sto vivendo. Non si può comunicare con gli altri se prima non si è imparato a comunicare con sé. Per questo Francesco ci invita a fermarci, a guardare e a ritornare ad essere umani: perché sa che senza questo combattimento dell’anima, questa ripresa di umanità, non è possibile costruire nulla di davvero buono, utile e positivo. Noi non dovremmo parlarci per avere ragione, ma dovremmo parlarci per trovare una buona ragione per cui valga la pena vivere insieme, pur percorrendo strade e cammini tra loro a volte radicalmente diversi. La Quaresima è il tempo giusto per votare, è il tempo giusto per amare, è il tempo giusto per lavorare e per capire. Perché é il tempo che più di tutti ci educa a comprendere che il vero campo di battaglia della vita non è la tastiera o la scheda elettorale, e neppure le mura di casa o le scrivanie dell’ufficio. Il vero campo di battaglia è lo specchio, quel luogo dove — più di ogni altro luogo — ciascuno può capire quanta strada ci sia ancora da fare. Sotto una pioggia scrosciante le nostre mille battaglie quotidiane, il Papa ci indica con coraggio l’unica guerra che conta sul serio qualcosa.