Dopo la prima notte trascorsa dietro le sbarre ecco arrivare le prime dichiarazioni di Stefano Binda, l’uomo accusato di essere l’autore materiale dell’omicidio di Lidia Macchi il 5 aprile del 1987. Come riporta “Varesenews.it”, Binda ha affidato al suo legale Sergio Martelli le sue sensazioni dopo l’arresto di ieri:”Sono abbastanza tranquillo. Non ho scritto io la lettera ai genitori di Lidia Macchi e non c’entro con l’omicidio“, parole forti da parte di Binda, che allontana con forza tutte le accuse piovutegli addosso in queste ore. Stefano Binda dovrebbe comparire dinanzi al gip Anna Giorgetti, firmataria dell’ordinanza di custodia cautelare, nella giornata di martedì e solo dopo l’interrogatorio di garanzia deciderà assieme al legale se appellarsi al tribunale del riesame. Dalle parole dell’avvocato Martelli, presidente dell’ordine degli avvocati di Varese e tra le toghe più in vista della provincia emerge chiaramente lo sgomento del suo assistito:”Il mio cliente sta bene compatibilmente con la sua condizione di carcerato ma mi sembra che stia reagendo con tranquillità. Non riesce a spiegarsi come dopo tanti anni sia finito in questa situazione e continua a negare di avere ucciso lui Lidia“.
Il ritratto delineato dal gip di Varese Anna Giorgetti getta nuove ombre su Stefano Binda, l’uomo accusato dell’omicidio della compagna di liceo Lidia Macchi risalente a 30 anni fa. Secondo il gip, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare per il concreto pericolo di fuga del Binda, l’uomo “non ha una famiglia propria, non ha figli minori, non ha un’attività lavorativa avviata“. I tratti ricorrenti della personalità di Stefano Binda, descritto dai compagni di classe dell’epoca a “Repubblica” come un “affabulatore“, “una sorta di capoclasse“, sarebbero probabilmente alla base dell’interessamento della vittima per il giovane: Lidia infatti comprende che quel ragazzo tormentato e affascinante sarebbe attratto dall’eroina, una dipendenza dalla quale non riuscirà a liberarsi almeno fino al 2009 quando, riporta TgCom, “gli è stata ritirata la patente proprio perché guidava sotto effetto dello stupefacente“. Il tentativo di Lidia Macchi è quello di sottrarre il giovane alla dipendenza: lo fa recandosi in biblioteca, cercando libri che spieghino i passi da compiere per uscire dal vortice della tossicodipendenza, ma non vi riesce e anzi rimane vittima del Binda. Il vicino di casa dell’uomo, Mauro, al quotidiano “La Repubblica” però, non si dice stupito, quasi a voler sollevare un coperchio di omertà anzi, ammette che questa vicenda non rappresenta una sorpresa:”Quando ho visto gli inquirenti sapevo che erano per Stefano. E per la storia di quella ragazza. In paese lo dicevamo da allora che qualcosa di storto c’era“.
Un frammento, tratto dal video di Mediaset, in cui Stefano Binda si vede portato via dalle forze dell’ordine e posto in stato di fermo a Brebbia, nel suo paesino vicino a Varese dove viveva con la madre. L’accusa è incredibile, omicidio di LidiaMacchi, la ragazza sua amica e compagna di liceo che 30 anni fa è stata uccisa a 29 coltellate dopo una violenza sessuale e di cui ora è proprio Stefano ad essere accusato. Un momento come tanti, fuori dalla sua casa e che invece potrebbe essere l’ultimo da persona libera, dopo le accuse pesantissime arrivate oggi con grande sorpresa, per via anche della segretezza degli inquirenti ottimale negli ultimi mesi (dopo un caso gestito certamente in maniera errata dal punto di vista mediatico). È stato davvero lui ad uccidere Lidia? Al momento le prove contro di lui sono sulla lettera che avrebbe scritto e mandato alla famiglia Macchi il giorno dei funerali 30 anni in cui elenca dettagli inquinati sul delitto e quel biglietto trovato in casa sua, sempre scritto da lui, in cui si legge “Stefano barbaro assassino”. Ora altri esami del dna verranno fatti, ma intanto quel 48enne appassionato di filosofia dovrà raccontare tutta la vicenda, a 300 dai fatti occorsi: non è che l’inizio di un lungo processo in cui ancora molti tasselli andranno messi a posto. Clicca qui per vedere il video di Mediaset dell’arresto.
È primo mattino quando Stefano Binda viene arrestato nel suo paese, Brebbia, per l’omicidio di Lidia Macchi, riaprendo di fatto il caso che per 30anni è rimasto un giallo irrisolto: è dunque lui l’assassino della giovane ragazza di cui era amico e compagno di liceo? Al momento è considerato l’autore della lettera “in morte di un’amica” recapitata il giorno dei funerali di Lidia in cui emergono descrizioni e atti che riporterebbero all’omicidio. Al momento questo è i punto della quesitone, ma dopo l’arresto di oggi ci saranno ovviamente tutti i vari aggiornamenti del caso nelle prossime ore: intanto sono stati raggiunti alcuni dei vicini di casi di Stefano, 48 anni e non impiegato al momento, che raccontano di conoscerlo bene e di non poter credere a quanto successo. «Certo che me lo ricordo, come potrei dimenticare, ricordo anche che con lui non abbiamo mai parlato di tutto questo. La conosco bene, ci sono cresciuta assieme ma non mi sarei mai aspettata una cosa del genere», riferisce una donna che vuole rimanere anonima ai taccuini dei giornalisti locali e nazionali accorsi oggi a Brebbia.
Quando questa mattina Stefano Binda è stato arrestato a Brebbia per l’omicidio di Lidia Macchi, 30 anni dopo la morte della ragazza, il paese è andato sotto choc: lo conoscevano quasi tutti, l’uomo di 48 anni che viveva con la madre, grande appassionato di filosofia e studi e al momento non impiegato in alcun lavoro. Era spesso nel bar del paese, il “da Amedeo” dove comprava le sigarette: «Stefano? Ma si che lo conosco, veniva qui a leggersi il giornale, un tipo alla mano, anche brioso e che amava parlare» racconta il gestore, Amedeo Petullo. Intervistato da Varese.news, ha parlato anche il sindaco di Brebbia, Domenico Gioia, che ha affermato: «La notizia mi ha colto del tutto impreparato, non me l’aspettavo, un fulmine a ciel sereno: l’ho conosciuto di recente, era una persona tranquilla e integrata nella comunità che partecipava a tutte le attività sociali e culturali che riuscivamo ad organizzare». Per vedere tutto il resto della intervista realizzata, basta cliccare qui per vedere il video integrale.
È stato arrestato questo mattina Stefano Binda, accusato di aver ucciso Lidia Macchi, la ragazza varesina che dopo 30 anni potrebbe finalmente aver trovato giustizia con il ritrovamento del suo omicida. Stefano, ora 48 anni e residente a Brebbia, era un compagno di liceo di Lidia e come lei frequentava il gruppo di scout nelle provincie di Varese. L’accusa è molto grave contro di lui: omicidio volontario aggravato con anche violenza sessuale: gli investigatori che questa mattina lo hanno arrestato affermano che Binda avrebbe ucciso la ragazza con 29 coltellate dopo averla violentata, perché sarebbe stato convinto che lei si era concessa e che non avrebbe dovuto farlo per il “suo credo religioso”. Al momento conduceva l’uomo una vita lontana dal clamore, in un paese, Brebbia, dove lo conoscevano tutti e che sono rimasti sconvolti dalla notizia di questa mattina che potrebbe aver riaperto, per una volta in maniera definitiva, il caso di Lidia Macchi, uno dei gialli irrisolti della storia di cronaca italiana. Lo studio della filosofia il suo grande piacere, ha perso il padre da giovane e da allora vive in casa con la madre: al momento non risulta impiegato e spesso gira in bar del paese, come riportano i colleghi di Varese.news. Gli investigatori sostengono che sia stato lui a consegnare il giorno dei funerali della ragazza, in casa Macchi, la lettere dal titolo “In morte di un’amica” dove conteneva impliciti riferimenti all’uccisione della giovane che veniva chiamata “agnello purificato”. Ad incastrarlo una testimone per la particolare grafia e con la perizia calligrafica arrivata ultimamente che sembra averlo incastrato; inoltre sarebbero state trovate parole di confessione dello stesso Stefano Binda in un foglio trovato entro ad una agenda lasciata in casa Binda dove si leggerebbe “Stefano è un barbaro assassino” con la grafia di nuovo riferibile all’uomo ormai 48enne, ex compagno di liceo di Lidia.