Il caso Roma ovviamente occupa le cronache nazionali, specie dopo la recente notizia che in venti comuni dell’area è già iniziato il razionamento delle acque, ma non è che il resto del Paese si trovi in migliori condizioni. In Lombardia ad esempio sui pascoli di montagna si registra un calo del 20% di erba a disposizione del bestiame, mentre il Lago di Garda è al 34,4% di riempimento del volume e il fiume Po al Ponte della Becca a Pavia è a circa 3,5 metro sotto lo zero idrometrico. “Siamo davanti a una duplice problematicità”, ha detto a il sussidiario.net il professor Massimo Labra, Professore associato di botanica nel dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università Milano-Bicocca: “Da una parte il cambiamento climatico che sta rendendo il nostro Paese un Paese tropicale, dove non esistono più le piogge modeste, ma violenti acquazzoni e anche grandinate estemporanee che fanno danni all’ambiente e dall’altra un problema pratico. In Italia si passa da zone dove la perdita idrica è meno del 10% a zone dove arriva anche al 40%. La situazione al sud è peggiore che al nord, quella che fu la grande invenzione degli antichi romani, gli acquedotti, non ha avuto implemento e ci sono vaste aree dove il sistema idrico è ampiamente obsoleto”.
Professore, stiamo leggendo un po’ di tutto e il contrario di tutto, ad esempio che la colpa della mancanza di acqua a Roma non sia davvero il lago di Bracciano come detto fino a ieri. Questa siccità che minaccia in modo drammatico alcune zone dell’Italia che cause ha realmente?
Innanzitutto bisogna dire con chiarezza che stiamo andando verso una crisi dell’acqua nelle nostre aree e di criticità del clima, una tropicalizzazione del nostro Paese. Ce lo dicono questi violenti acquazzoni che hanno sostituito le piogge modeste ma continue. Ovviamente la Pianura Padana è più avvantaggiata di altre zone del Paese, in quanto di fatto qua si galleggia sull’acqua, ma quando andiamo in zone come al centro e al sud ci troviamo davanti a un problema.
Cosa significa un cambiamento climatico concretamente?
Che noi oggi siamo Africa, con le stesse problematicità. L’agricoltura del Mediterraneo e della Pianura Padana è fiorente e meravigliosa, ma si tratta di piante che hanno una richiesta di acqua elevata, pensiamo alle risaie e alla coltivazione in umido. Adesso da qualche tempo si va verso la crescita del riso a secco, ma fino a pochi anni fa non era così. Il problema è diffuso, il clima è cambiato e l’acqua a disposizione è molto meno.
Cosa intende con “siamo Africa”?
In Africa si sfrutta una agricoltura resiliente che richiede poca acqua, e lo stesso dobbiamo imparare a fare noi. Dobbiamo trovare sistemi nuovi per dare da bere alle piante, pensare a piante che necessitano di meno acqua. In Africa hanno piante di tipo leguminoso o a foglia larga che crescono quasi spontaneamente perché nel tempi si sono abituate a crescere con una domanda idrica molto bassa. Fagiolini, piselli simili ai nostri, cavoli simili ai nostri. E’ un cambio di paradigma, dobbiamo abituarci a coltivare altri tipi di piante, che però richiedono un decimo o un ventesimo dell’acqua oggi utilizzata.
Vuol dire un cambiamento di scenario che potrà richiedere chissà quanti anni e chissà se sarà accettato…
Vanno cambiate molte cose, anche le tecnologie di irrigazione, oggi offriamo acqua in abbondanza all’agricoltura. Dobbiamo guardare invece ad esempi come Israele che data la poca acqua a disposizione, hanno ideato l’agricoltura di precisione, irrigare a domanda quando ce n’è bisogno non in modo continuativo. E’ quello che ci dice il governo con il piano industria 4.0: iniziamo a sfruttare l’informazioni, i rilevamenti, le analisi del suolo per fare progettazione con macchine che siano capaci di sostituire l’uomo ma anche quando usare l’acqua o altri elementi in modo preciso senza spreco.
Non è quello che il cittadino medio si sente da dire: noi discutiamo se le fontanelle cittadine sprecano acqua perché non hanno il rubinetto.
E’ un problema culturale di modifica dei comportamenti che ci porti a superare l’attuale spreco che oggi facciamo dell’acqua. Lo ha spiegato bene ilministro Martina dicendo che bisogna inventarsi l’agricoltura del futuro, migliorandola, scegliendo quella più adatta. Poi ci sono le buone pratiche che ogni cittadino può fare: sappiamo benissimo che un cittadino medio con la doccia consuma quotidianamente i litri di acqua che salverebbero dieci bambini in Africa. Ci vuole una presa di coscienza. Le nostre nonne sapevano che era faticoso andare a prendere l’acqua e sapevano dosarne l’uso, noi che siamo cresciuti con una politica di demonizzazione dell’acqua del rubinetto che dice che fa schifo mentre si può bere solo l’acqua in bottiglia, dimentichiamo il rubinetto aperto per dieci minuti pensando sia normale.
Tutto molto bello, ma qui siamo all’emergenza siccità, per cambiare come dice lei ci vorranno diversi anni, o no?
Esisteva fino a una decina di anni fa un piano di gestione delle acque per controllare la qualità con il monitoraggio. Adesso con l’adeguamento alle politiche europee c’è un piano di gestione delle acque che è di prevenzione non più di controllo. In sostanza dice: voi dovete prevenire un eventuale rischio di mancanza acqua per il cittadino ma anche l’acqua di qualità, dovete adeguarvi con tecnologie per prevenire l’eventuale rischio che un batterio si infili nel sistema idrico. Il lavoro non è poco, ma va cambiata del tutto la mentalità con sui si è pensato allegramente all’uso dell’acqua fino a oggi pensando che fosse una fonte senza fine.