L’Istat ha pubblicato dei nuovi dati sulle violenze in famiglia, da cui risulta che sono più frequenti di quelle compiute dalla criminalità. A esserne vittime sono soprattutto le donne, in quanto in media una ogni due o tre giorni perde la vita in seguito a un’aggressione del coniuge o dei parenti. Nel 2010 ne sono state uccise 156, nel 2009 invece 172 e nel 2003 ben 192. L’ultimo caso mercoledì a Gela, dove una madre adottiva di 73 anni è stata assassinata a coltellate dal figlio 38enne. Ilsussidiario.net ha intervistato Erasmo Figini, membro dell’Associazione Cometa e padre di 13 figli, di cui due naturali, sei in affido con meno di 21 anni e cinque che hanno superato quell’età e sono dunque anagraficamente autonomi pur vivendo ancora con la sua famiglia.
Figini, che cosa ne pensa dei dati Istat sulle violenze in famiglia?
In un momento come questo, nel quale si dovrebbe lavorare su ciò che c’è positivo, non capisco perché si debbano enfatizzare queste statistiche, e non invece quelle su tutto ciò che di buono stanno facendo numerose famiglie. Il nucleo familiare deve ritornare a essere il luogo dell’accoglienza, dell’amore e dell’educazione, e nella maggior parte dei casi ciò avviene già. Mi domando dunque per quale motivo si debba sempre andare a mettere il dito su quanto non va. In questo modo si toglie alla gente proprio quella fiducia di cui avrebbe più bisogno per ripartire e per dare nuovamente vita alla rinascita di un popolo.
Mi può citare degli esempi positivi, anche a partire dalla sua esperienza?
I drammi esistono sempre, ma ci sono famiglie, come quelle di Cometa e tante altre realtà, che accolgono quelle ferite che magari altre coppie possono avere inflitto nei minori. Abbiamo bisogno di tenere conto del negativo per trasformarlo in positivo, perché tutto alla fine concorre al bene. Certi di questo, dobbiamo stare in questa posizione.
Qual è il segreto di Cometa?
Nella semplice quotidianità, Cometa è composta da famiglie che hanno deciso di aprirsi all’accoglienza. Quest’ultima deve riguardare innanzitutto noi stessi e poi il coniuge, i figli naturali o in affido che il buon Dio vuole darci. Un figlio va accettato così com’è e amato, a maggior ragione se è meno fortunato di altri in quanto prima dell’affido ha avuto delle problematiche familiari tali per cui i servizi sociali hanno optato per un allontanamento.
I suoi figli sono in affido o in adozione?
La mia esperienza riguarda solo l’affido, cioè l’accompagnamento di un bambino per un pezzo della sua vita per poi se possibile reinserirlo nella sua famiglia d’origine. Senza mai strappare le radici, perché la sfida consiste nell’accompagnare, come del resto accade per i figli naturali. Con un figlio in affido occorre sempre ricordare che non si potrà mai cancellare il suo passato nella famiglia d’origine. A Gela una madre adottiva è stata uccisa dal figlio 38enne.
Il rapporto con un figlio in adozione o in affido è più difficile di quello con un figlio naturale?
No, se si tiene conto di tutti i fattori e della sua storia. La mia esperienza è che innanzitutto anche i figli naturali sono in affido, perché non sono tuoi ma ti vengono affidati. Anche con i figli in affido non ho mai vissuto difficoltà particolarmente drammatiche, tutt’al più hanno attraversato come è normale delle fasi adolescenziali.
Eppure la famiglia spesso può diventare un equilibrio fragile e pronto a rompersi …
Le deformazioni esistono e si verificano quando non si vive la realtà per quella che è. La famiglia è indispensabile per una buona crescita, perché è il luogo che ti accoglie così come sei, senza chiederti di cambiare, ti ama gratuitamente e ti educa. Un figlio riceve quindi quell’equilibrio necessario per uscire dal nido nel momento in cui è pronto a volare.
Non sempre però ciò avviene …
Se una famiglia non vive una normalità e una semplicità, con il padre e la madre che non intendono svolgere il loro ruolo, scattano dinamiche contraddittorie tra loro e quindi la situazione per chi ci deve vivere diventa molto problematica. Che cosa sia la famiglia ce lo insegnano gli animali, e non vedo quindi perché l’uomo debba complicare tutto ciò che è semplice e naturale. Occorre tornare a essere più semplici, responsabili e coscienti di chi siamo e di ciò che facciamo.
(Pietro Vernizzi)