È di ieri l’articolo di Giuliano Aluffi su Repubblica che riporta le tesi di Steven Pinker, accanito sostenitore della piena libertà della scienza contro i tentativi della bioetica di contenerne i processi e i possibili abusi. Secondo Pinker, così come “letto” da Aluffi, “la scienza deve sentirsi libera di procedere speditamente, affrancata dalle istituzioni bioetiche ufficiali” che sarebbero “una corporazione in preda a un conflitto di interesse, una istituzione accademica e burocratica che ha bisogno di giustificare la propria esistenza”.
Eppure la bioetica ha ancora qualcosa da dire, come testimonia la sentenza della seconda Sezione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (di cui fa parte anche il giudice italiano Guido Raimondi) di cui hanno dato notizia ieri le agenzie. Come è noto, la legge n. 40/2004 che regola per l’Italia le condizioni di accesso alle tecniche di procreazione assistita contiene anche il divieto di uso degli embrioni ai fini della ricerca scientifica.
La progressiva demolizione di tale legge, compiuta in questi anni, caso dopo caso, dalla giurisprudenza internazionale, costituzionale e ordinaria subisce oggi una battuta di arresto: la Corte di Strasburgo stabilisce infatti che tale divieto non costituisce una violazione né del diritto di proprietà, né della libertà di opinione (di cui la libertà di ricerca fa parte), né della vita privata. Spetta infatti agli Stati e non alle Corti di regolamentare la fattispecie, potere fin qui esercitato dagli stessi in modo ampiamente differenziato: su 13 stati europei (Italia, Regno Unito, Irlanda, Portogallo, Spagna, Germania, Repubblica Ceca, Svizzera, Francia, Grecia, Lituania e Finlandia e Svezia), infatti, tre prevedono un divieto generale (Italia, Irlanda, Germania), mentre gli altri hanno una regolamentazione differenziata ma tendenzialmente restrittiva.
La contestazione della normativa italiana proveniva dalla signora Adelina Perillo, vedova di uno dei militari italiani morti a Nassiriya. La coppia aveva prodotto e crioconservato propri embrioni prima dell’entrata in vigore della legge che vieta, oltre all’uso degli embrioni per ricerca, anche la crioconservazione degli stessi. A 13 anni dalla produzione di tali embrioni, la signora Perillo avrebbe desiderato donarli per la ricerca a onta del divieto legislativo.
Per tale motivo era stato prodotto il ricorso in esame, che la Corte in parte rinvia al Governo italiano convenuto, non ritenendosi ancora in grado di pronunciarsi su di esso (per la parte relativa al diritto di proprietà e alla privacy), e in parte rigetta (o meglio dichiara irricevibile), visto che della libertà di ricerca scientifica sono titolari i soggetti attivi della stessa, ovvero i ricercatori e gli scienziati e non la ricorrente. Tale ultima motivazione è molto importante visto che, sullo stesso caso, dovrà pronunciarsi anche la Corte Costituzionale italiana, la quale aveva rimandato la propria decisione in attesa della decisione di Strasburgo, che ieri si è orientata nel modo indicato.