Una lettera di un padre per un figlio. Una lettera di un padre giornalista al figlio vice presidente della Feltrinelli. Una lettera di un padre shoccato dalla morte di un figlio, nulla più e nulla meno: Giampaolo Pansa ha voluto scrivere una lunga lettera che ha reso pubblica oggi sulla Verità e che ha un unico destinatario, il figlio Alessandro da poco scomparso prematuramente a soli 55 anni. Lo chiama “bel fieu” e gli dice “ti voglio bene”, ma non nasconde la profonda distanza che c’è sempre stata in quello strano, difficile (come tanti e svariati ve ne sono al mondo) rapporto tra padre e figlio: due generazioni al contrario, un giornalista celebre che del suo lavoro ne ha fatto una vita e un figlio cresciuto con il papà sempre fuori e una madre amorevole che tesseva le fila della famiglia. «La tua scomparsa improvvisa mi ha costretto a prendere atto di alcune verità. La prima è che nella vita di tutti giorni accade ciò che di solito avviene quando c’ è una guerra. Che cosa succede in una nazione coinvolta in un conflitto? L’ ho visto con i miei occhi di bambino negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale: a morire sono sempre i giovani, mentre gli anziani la scampano. Insomma, la guerra rovescia lo stato naturale delle cose. Ma può accadere così anche se il mondo si trova in pace», scrive Pansa Sr. Ce lo immaginiamo, con le lacrime agli occhi ma con la mente lucidissima come gli capita ormai da 82 anni, molti dei quali passati a raccontarci l’Italia secondo uno sguardo scaltro, onesto e alla fine “umile”.
Una confessione al figlio e nello stesso tempo una domanda che tanti padri nel passato (e non solo purtroppo) si sono posti tra sé e sé, con chiaro riferimento a quel Dio che tutto vede e provvede: «Te ne sei andato a 55 anni. Mentre io sono ancora vivo quando ne ho 82. Ti confesso che in questi giorni più di una volta mi sono domandato: perché il Padreterno non ha preso me, invece di te, anche se avrebbe arrecato un grande dolore alla persona che amo di più al mondo, la mia cara Adele? Lo so, è una domanda senza senso: il perché lo conosce soltanto lui. Ma l’ ho pensato e credo che ci metterò del tempo prima di non chiedermelo più». Ricordi precisi, dettagli di una vita famigliare che si intrecciano ad una vita “pubblica” per un grande giornalista e per il figlio finanziere che del mestiere del padre voleva forse averci meno a che fare possibile. «I tuoi figli hanno avuto la fortuna di avere avuto un padre sempre molto sollecito, anche se immerso in un mare di impegni. Da adolescenti non esitavano a criticarti e io lo consideravo una prova che insieme a tua moglie Costanza eravate stati capaci di crescerli da ragazzi liberi, senza soggezioni. Così la penso ancora, pur riconoscendo di aver saputo poco della tua vita privata e famigliare».
SCONTRI, DISTANZE E ABBRACCI
Già, la famiglia: per il giornalista d’assalto, cresciuto tra Repubblica, la Stampa e i tantissimi casi politici-storici dell’Italia che si evolveva, la famiglia non è stata così tanto “semplice” da gestire. «Ingombrante e spesso assente. Ecco un’ altra scoperta: non ho mai conosciuto il tuo giudizio sul mio lavoro. Soltanto negli ultimi anni, da quando ero passato prima a Libero e poi alla Verità, tu compravi il giornale la mattina della domenica e nel pomeriggio mi telefonavi per dirmi che cosa pensassi del Bestiario», scrive ancora il padre che compiange il figlio scomparso. Una professione che quel figlio non amava affatto, specie all’inizio della sua vita: «Mentre frequentavi le elementari pubbliche di via Crocefisso a Milano, arrivò una nuova maestra che volle conoscere la professione paterna di ciascuno degli alunni. Quando arrivò il tuo turno, la maestra commentò: «Il famoso giornalista!». Tu replicasti, scettico: «Famoso? Dipende». Sempre alle elementari, tu consegnasti il tema che mi riguardava: «Mio papà fa il giornalista e, quando ritorna a casa la notte, svuota il frigorifero». Infine per tua madre Lilli nutrivi un amore sconfinato. Era la tua Ginevra e tu il suo Artù, mentre io, finché sono rimasto in casa, ero un cavaliere della Tavola rotonda». Un rapporto difficile e un bisogno enorme di ritrovare un rapporto che ora non sarà più possibile “colmare”: «Però, mio bel fieu, mio bel ragazzo, ti accoglierò sempre a braccia aperte. O con un cazzotto sulla spalla. Come facevo quando venivi a trovarci. Mi piacerà ascoltare di nuovo la tua voce che mi dice: «Fai bene a scrivere contro questi nuovi politici che stanno portando il nostro Paese al disastro». Ritroveremo così quell’ intesa che a volte ci è mancata. Ti voglio bene». Non crediamo di dover aggiungere altro a questa straordinaria testimonianza di “dolore innamorato” di un padre, in morte del figlio.