“Cogito ergo sum” cioè “sono (io decido quel che sono) perché penso” ci ha lasciato in eredità Cartesio; è il pensiero dell’uomo che decide la realtà dell’essere. Oggi quel pensiero si è evoluto al punto di diventare un “muoio (io decido di morire) perché penso”. L’eutanasia è diventata una decisione di vita, a quanto pare. Così è per Brittany Maynard, giovane sposa di ventinove anni, a cui è stata diagnosticata una gravissima forma di cancro cerebrale; la prognosi è di meno di un anno di vita, con gli ultimi mesi che dovrebbero essere terribili, la ridurrebbero a una condizione di coma vegetativo, lungo quanto il suo corpo perfettamente sano le consentirebbe di reggere.
Lei ha deciso di ricorrere al suicidio assistito e ne parla serenamente in un video montato come uno spot pubblicitario; la diffusione di questo infatti invita alla raccolta di fondi per l’associazione che sostiene la sua scelta, la Compassion and Choices: scelte e compassione.
E’ un video inquietante, anche se infarcito di scene felici, lei col vestito da sposa, lei e il marito in vacanza, i viaggi che fa per vedere i luoghi desiderati prima di morire. Sua madre soffoca il pianto, affermando continuamente che sua figlia ha diritto ad andarsene con dignità.
Brittany porrà fine ai suoi giorni lucida e cosciente il primo di novembre, dopo aver festeggiato il compleanno del marito; darà la mano al suo uomo, accanto a lei i genitori e un’amica scelta. Afferma che la sua non è affatto una decisione di morte, “ogni cellula di me vuole vivere” ma che fa questo perché vuole che la sua morte sia serena, dignitosa, indolore. Nessuno può togliere a un essere umano il diritto di morire con dignità.
E messa giù così, così ben esposta, così ben pensata appunto, non c’è scampo: ha ragione lei, verrebbe da dire.
Eppure, cos’è questa inquietudine che prende lo stomaco? Quello di un laico, come quello di un cattolico; lasciamo perdere le ragioni religiose e soffermiamoci sul semplice pensiero, umano, logico, “dignitoso”: quante volte questa parola viene pronunciata, come fosse un ritornello per convincere! Da qui la prima domanda che si affaccia: ma cosa significa davvero “dignitoso”? Perché non dovrebbe essere dignitoso un essere umano che non cammina, non sta seduto, ma solo disteso, incapace di sorridere, di nutrirsi, di regolare gli sfinteri, bisognoso di assistenza continua? In fondo ognuno di noi quando nasce è in questa condizione; e accudire un neonato è bellissimo.
Ma lei invece muore; ognuno, siccome è nato, morirà. Ognuno, siccome “è”, cioè vive, morirà. Non importa se pensa, se è intelligente o buono o altro.
La realtà non pensa, non decide, la realtà “è”. L’uomo, anche Brittany, appartiene alla realtà. La sua decisione la illude di possedere la realtà, piegarla al suo pensiero, alla sua volontà; reclama il diritto di farlo; in verità ha già questa libertà, ognuno di noi può ogni giorno decidere se farla finita e non solo con la nostra vita, ma anche con quella altrui.
Eppure nessun uomo ha la libertà, o forse il potere, di vivere, quanto e come vuole: anche Steve Jobs, potente e ricco, con la possibilità di avere tutte le cure possibili, si è dovuto arrendere al cancro.
Così come nessuno può “pensare” di nascere, di darsi la vita.
La realtà esula dal nostro pensiero; dal nostro progetto.
L’eutanasia, pur affermando che agisce in nome di una visione nitida della realtà, cioè la morte imminente e dolorosa, in verità la imbroglia, la evita. Brittany con la sua decisione si mette contro la realtà.
Evita di guardare ciò che realmente le sta per accadere. Lei non può sapere cosa le accadrà davvero, né quando e come.
Sua madre afferma di non credere ai miracoli; non serve un miracolo per vivere, né per morire bene, dignitosamente. Ogni giorno che si realizza è miracoloso, cioè “da mirare”, da guardare. Non sappiamo cos’è finché non sarà compiuto.
Eutanasia è rinunciare alla realtà: cioè alla verità.
Alla speranza, che è la forma del futuro.
Ci si arrende al pensiero che non è più in grado di costruire il mondo che vorremmo. Dimenticando che nessun pensiero ha costruito il mondo; siamo fatti di sangue e acqua, di limite e infinito: continuiamo a combattere tra il desiderio di infinito che ci muove (di felicità che è anelante all’eterno) e la nostra finitezza (questo è il peccato, originale magari, perché congenito) che quando si impone ci porge la morte. Che non è fisica, ma in primo luogo senti-mentale.
Noi non siamo fatti per la morte; anche Brittany, dentro la sua decisione durissima, scomoda, lo sa: ha bisogno di sapere che chi ama la tiene per mano quando scivolerà nell’ignoto. Il terrore non è il dolore, ma il ladro nella notte, la nera solitudine.
Il suicidio e l’eutanasia non sono altro che una corsa, folle, un salto nell’oltre: chissà che non esista davvero qualcosa così grande da non potersi pensare…