Guardatela, la Circe della Versilia. Massì, la riviera dorata dei Vip, in quei goduriosi anni 80 da bere, ormai alla fine, tra una Bussola e una coupé fiammante. Guardatela, la miliardaria che, con fare altero, prorompenti forme e capelli platinati, irretiva l’amante ragazzino, lo rendeva complice dell’assassinio del marito, tramava per la sua innocenza, al punto da accusate la figlia adolescente (Tamara, un nome da fiction). Una povera donna con un abito azzurro fluo, stessi capelli, ancora più finti, un fisico debordante e il volto pietosamente mascherato da vistosi occhiali scuri. Una Vanna Marchi con meno energie e grinta residue. La protagonista di uno dei più efferati delitti della cronaca nera, a buon diritto nella categoria dei Misteri d’Italia, chiede la grazia. E’ stata condannata all’ergastolo, per la testardaggine di un magistrato che volle rivedere il primo verdetto d’innocenza e siglare il suo “fine pena mai” su una vicenda terribile, che solo la mitologia avrebbe potuto sublimare a monito dell’efferatezza umana.
Però le streghe della tragedia ce le immaginiamo diverse: lampi negli occhi corvini, capelli scarmigliati, magrezza che rammenta lo strazio del cuore, un’inquietudine folle, drammatica, cosciente che si darà fatalmente al male, alla perdizione. Medea, Clitemnestra non avrebbero chiesto la grazia, sprezzanti e pronte a morire, dopo aver dato la morte. La signora Maria Luigia Redoli ha già un nome poco mitologico, e l’aspetto ancor meno. Chissà perchè quell’appellativo da feuilleton, la “Circe della Versilia”. Non ci risulta dal poema omerico che la bellissima dea innamorata dell’eroe astuto scannasse gli amanti. Sappiamo invece che, scoperta e placata dallo sguardo magico, quello davvero, di Ulisse, seppe indicargli la via della conoscenza, il cammino dell’Ade.
Nell’inferno di un carcere a vita invece Maria Luigia ci è andata lei, né le supposte arti magiche di cui si narrava le sono servite. Sì, perché nella storia del delitto versiliese il fanatismo settario della magia nera è presente, ci sono cartomanti e sedute spiritiche. C’è l’ignoranza che spesso genera una violenza cieca. Basta cliccare su Google per scoprire tutti i particolari più assurdi o piccanti del caso. Ora il delitto Redoli si riapre dopo vent’anni per un libro, in cui l’omicida dichiara un’altra volta la sua innocenza, e di nuovo accusa la figlia. Per questo chiede la grazia, ed è già un controsenso: se ha prove o testimoni di un così plateale errore giudiziario, altrochè grazia, si riapra il processo. Se non è, resta l’amaro tentativo di una donna sola, abbandonata e avvelenata, di attirare l’attenzione, e magari un po’ di clemenza. Non dai figli, e questo forse ci scandalizza, ci ferisce: ma come, i due figli, che nelle foto d’epoca si strinsero abbracciati alla madre, ora, rifattisi una vita, le negano a mezzo stampa il perdono, in una lettera al Tirreno, dannano la sua memoria fino a negarle perfino, quando sarà, una degna sepoltura?
Altro che la ferocia dei delitti dell’epica classica! Non han mai letto evidentemente che anche il truce Achille si piegò commosso davanti alla canizie umiliata di Priamo. Per quanto si può odiare? Possono farlo i figli? Sì, se sono della stessa pasta della madre, e non parlo di colpe, ma di educazione. Risulta che l’allora ragazza Tamara avesse più volte auspicato la morte violenta del padre, che fosse solita come passatempo trafiggere con spilloni il wodoo del genitore.
Nessuno stupore se la miseria è misera, e non sa dare il perdono. Forse invece bisognerebbe un’altra volta riflettere – ma pochi hanno voglia di farlo seriamente – sui nostri istituti di pena, su quella mannaia, “fine pena mai”, in vistoso contratso con quel dettato costituzionale che vuole la detenzione come riabilitativa. Riabilitativa a che? A morire in pace? Ma questo non è compito di uno Stato, semmai del confessore. A reinserirsi invece nel mondo, quando non si è più in grado di nuocere, a ritrovare un briciolo di vita libera. Altrimenti, e la provocazione non è priva di senso, la pena di morte abbrevia il carcere, e non è detto sia il peggior male. Vent’anni in galera anche per le Marie Luigie crudeli e menzognere, sono un’eternità. Non hanno più mises appariscenti da sfoggiare, non più chiome biondissime per incantare. Una vecchia, forse, può tornare a casa. I suoi figli sono la condanna più dura.