La recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla brevettabilità dei partenoti, gli ovociti umani manipolati in laboratorio ma non fecondati, sta suscitando un vivo dibattito, dai contorni non sempre chiari. Ne abbiamo parlato con Alberto Gambino, esperto di bioetica, docente di diritto privato e diritto civile nell’Università europea di Roma.
Cosa ha realmente deciso la Corte del Lussemburgo e in che cosa ha realmente innovato rispetto alle precedenti posizioni?
La Corte ha stabilito che la direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche — che implica la non brevettabilità di embrioni umani — non si applica agli ovuli umani non fecondati, quand’anche questi si dividano e si sviluppino. Nella posizione precedente (cristallizzata nella sentenza Brüstle) si affermava che la nozione di embrione umano dovesse essere intesa in senso ampio e vi si ricomprendevano anche gli ovuli umani non fecondati indotti a dividersi e a svilupparsi attraverso la cosiddetta partenogenesi.
Dove sta la differenza?
Rispetto a questi si sosteneva che potessero comunque dare avvio ad un processo di sviluppo di un essere umano e, dunque, andavano disciplinati come se fossero embrioni. Ora, alla luce delle nuove conoscenze, si ritiene invece che tali “partenoti” potrebbero non avere la capacità intrinseca di svilupparsi in esseri umani: in questi casi allora possono essere brevettati.
A quanto pare la sentenza non è vincolante per i singoli Stati, che dovranno essi decidere nei singoli casi se il partenote oggetto della richiesta di brevetto sia o meno in grado di svilupparsi in essere umano. La decisione non verrà influenzata anche da posizioni più politiche?
Non sono i singoli Stati a dover decidere, ma le Corti nazionali, dunque, almeno per definizione non dovrebbe trattarsi di decisioni politiche. Certamente i giudici formeranno il loro convincimento sulla base di pareri e perizie scientifiche e non possono in linea teorica escludersi posizioni contrastanti. Sono i limiti di tutte le decisioni che devono essere prese facendo “un pronostico” su cosa avverrà davvero. Ma nel caso di specie si tratta di sapere se il partenote abbia o meno la capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano e immagino — ma non sono un tecnico — che senza la fecondazione, ad oggi, si ritenga per lo più che ciò non sia possibile.
La possibilità di diverse decisioni nei vari Stati dell’Unione non finisce per rafforzare l’opinione di chi teme la commercializzazione, anche illegale, degli ovociti?
Se le decisioni hanno una seria base scientifica non vedo rischi di illegalità: il principio da salvaguardare anche con questa decisione resta la non brevettabilità di esseri umani allo stato iniziale.
Ma la brevettabilità di “materiale umano” trattato alla stregua di una comune “materia prima” non va comunque contro il principio di rispetto della dignità umana più volte citato dalla Corte europea?
Il problema della brevettabilità di “materiale umano” come se fossero “cose inventate” è più insidioso: qui il tema coinvolge la differenza tra ciò che è dato in natura e ciò che è frutto di invenzione, solo quest’ultimo può essere brevettato; se così non fosse si creerebbero indebiti monopoli su elementi naturali che, in quanto frutto di “scoperte” e non di “invenzioni”, appartengono all’umanità intera. Qui si può annidare il problema della commercializzazione illegale. E’ un tema — se ci si pensa un po’ — che va di pari passo con il principio del rispetto della dignità umana: lucrare e, dunque, brevettare parti del corpo, seppure quasi invisibili, è l’anticamera della reificazione (rendere cioè cose) dei tratti unici e irripetibili di ciascun essere umano.
La Corte di Giustizia si è limitata alla questione commerciale della brevettabilità o ha esteso la sua opinione alla liceità della ricerca sugli ovociti e sugli embrioni umani? Qual è la situazione giuridica a tal proposito?
Sì, la Corte si è limitata alla questione della brevettabilità; per la ricerca non dispone divieti, ma certamente la non brevettabilità della sperimentazione sugli embrioni ne rappresenta, seppur indirettamente, un contenimento in quanto non alimenta investimenti ingenti che sono spiegati soprattutto quando si fanno ricerche che possono condurre alla registrazione di brevetti.