Non si placa la polemica sull’atto con cui il ministro Sacconi, oltre un mese fa, ha dato indicazioni chiare a tutte le strutture sanitarie nazionali in merito all’obbligo di assistere tutte le perone ricoverate, senza negare loro il sostegno primario, tra cui l’alimentazione e l’idratazione. Nei giorni scorsi il presidente della regione Mercedes Bresso era arrivata al punto di definire questo atto come un modo per mettere «sotto scacco» le strutture convenzionate; e ieri una nota del ministro Sacconi ribadiva ancora una volta la piena legittimità del proprio operato.
Ma chi si oppone a questo atto ha valide ragioni giuridiche? Secondo Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, non c’è motivo per mettere in dubbio la liceità dell’azione del ministro Sacconi
Professor Mirabelli, la presidente della Regione Piemonte ha parlato nei giorni scorsi di una sorta di ricatto operato dal ministro della Salute, soprattutto sulle strutture convenzionate: è così?
Il ministro Sacconi ha semplicemente esercitato un potere che rientra pienamente nelle sue prerogative, cioè quello di emanare un atto di indirizzo che è rivolto alle strutture pubbliche, e come tale non può certo essere definito un ricatto. Ci si potrà forse esprimere sulla condivisione o meno di questa presa di posizione, ma non si può mettere in dubbio che questo faccia parte delle attività regolari di un ministro, e che dunque non ci sia nessun tipo di azione di ricatto personale. Ha semplicemente fatto ciò che è in suo potere.
Al di là delle critiche rivolte a Sacconi, la governatrice Bresso ha comunque dichiarato di volersi impegnare per fare in modo che si trovi, nella regione Piemonte, la struttura che dia attuazione alla sentenza sul caso Englaro: come giudica questo suo “impegno”?
Sulla questione della disponibilità delle strutture pubbliche bisogna innanzitutto fare una premessa, per evitare di cadere in equivoci: la decisione giudiziale cui si fa riferimento autorizza il tutore di Eluana Englaro ad autorizzare a sua volta il distacco del sondino. Non impone a nessuno di provvedere a fare questo, e nemmeno a cooperare nel mettere in atto questa azione. Dunque non c’è nessun obbligo, né per le strutture pubbliche, né per nessun altro, di prestarsi per adempiere questa attività. Questo può essere fatto, in base alla sentenza; ma non rientra certo nelle prestazione obbligatorie che il Servizio sanitario nazionale deve offrire ai suoi utenti.
Un’altra questione che si pone per i medici e infermieri chiamati a fare i conti con questa sentenza è anche l’obiezione di coscienza…
Quanto detto finora riguardava il profilo generale; parlando dell’obiezione di coscienza invece entriamo in un ambito differente, che è quello dei singoli medici, i quali sono naturalmente liberi di prestare obiezione. Ma questo, a ben guardare, non riguarda affatto il caso in questione, non essendoci, come detto prima, nessun obbligo nei confronti dei medici. È sufficiente non prestarsi a svolgere questa attività. Abbiamo infatti chiarito, e la cosa è indubitabile, che la pronuncia giudiziaria non prescrive ai medici di compiere questo atto. Quindi il problema va piuttosto ribaltato: c’è tutt’al più un’ipotetica attività volontaria da parte di chi si offre per compiere l’atto stesso, cioè il distaccamento del sondino con cui la Englaro è nutrita. Resta comunque il fatto, se eventualmente l’obbligo dovesse esserci, che andrebbe certamente tutelata la libertà di coscienza del medico che non intenda cooperare a questa attività.
La presidente Bresso ha ieri polemizzato anche con il Cardinal Poletto, dicendo che non siamo una “repubblica di ayatollah”. Il riferimento era alle parole del Cardinale in un’intervista a Repubblica, in cui richiamava all’importanza di conciliare legge umana e legge divina. Cosa ne pensa?
Il passaggio del cardinale Poletto è evidentemente rivolto alla coscienza dei fedeli, e mi pare che non vi sia nel nostro Paese una libertà limitata nell’esprimere il proprio pensiero in questo senso.
Il richiamo agli ayatollah dovrebbe far pensare che il cardinale non intendesse semplicemente vincolare le coscienze dei credenti, ma addirittura escludere il fatto che ci possa essere una legge in contrasto con determinati principi. Così invece non è: la legge in contrasto con certi principi può esistere, e poi sta alle coscienze valutare. Dunque il cardinale ha richiamato al fatto che il credente, valutando le leggi secondo determinati principi morali, è chiamato a rispondere alla voce della propria coscienza piuttosto che a imposizioni esterne. Ma questo non condiziona l’esistenza o meno della legge, come invece accade nel regime degli ayatollah. Del resto l’obiezione di coscienza esiste negli ordinamenti proprio per garantire quello che di più geloso c’è nel sentire dell’uomo, vale a dire il fatto di avvertire in coscienza un determinato comportamento come doveroso. Quindi diciamo che l’espressione della presidente Bresso è stata forse di impatto, ma certamente inappropriata.
Ieri si è aggiunto un nuovo elemento alla già tormentata vicenda: una nuova clinica di Udine sarebbe disposta ad accogliere Eluana e a staccare il sondino. Si ritorna da capo all’atto del ministro Sacconi…
Che ci possa essere una struttura che dica questo non lo si può escludere; quelle che possono poi essere gli effetti e le conseguenze di una tale presa di posizione sarà da vedere. L’atto del ministro comunque indica come non compatibile con l’attuale assetto delle strutture pubbliche un’attività di questo tipo, per le ragioni indicate nell’atto. Si potrà discutere sulla legittimità o meno del contenuto dell’atto stesso: ma allora ci sono gli strumenti giuridici per affermare questa illegittimità. Si chieda a un giudice di pronunciarsi; in caso contrario, l’atto vale.