Come comportarsi di fronte alla crisi? «Finora ce la siamo cavata meglio degli altri. Per questo il consiglio che mi sento di dare agli italiani è: non cambiate quasi nulla». Questa la risposta del ministro dell’Economia Giulio Tremonti alla domanda di Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, su cosa deve cambiare il nostro paese per uscire dalla crisi, nel corso dell’incontro organizzato dal Centro Culturale di Milano dal titolo “La crisi: inizio del declino o opportunità per il cambiamento?”.
Tremonti, a sostegno della sua tesi, parte da lontano, cioè da un suo libro del gennaio 1995, scritto con Edward Luttwak e Carlo Pelanda, dal titolo “Il fantasma della povertà”. Se si sommano il debito pubblico e quello privato, dice Tremonti, l’Italia non sfigura così tanto nelle classifiche internazionali. E questa crisi mondiale “importata dagli Usa”, addirittura di origini clintoniane, è dovuta a una globalizzazione avvenuta troppo in fretta.
Nella sua analisi Vittadini punta invece il dito contro il mito – fallito – del capitalismo inteso come crescita inarrestabile che ha perso i contatti con l’economia reale e il capitale umano. «C’è invece un dinamismo dell’io, il desiderio come scintilla che accende il motore del cambiamento – dice Vittadini citando don Giussani -, la capacità di costruire dell’uomo che diventa un fattore imprescindibile».
Anche Tremonti cerca di sottolineare gli aspetto “profondi” della crisi, dicendo che è «fondamentale creare un catalogo di valori morali e di nuove regole legali che possa porre fine a un sistema di degenerazioni». Importante, tornando all’Italia, ribadire il valore del nostro sistema, il «modello delle piccole e medie imprese – dice Vittadini – e delle banche tradizionali che qualche tempo fa veniva considerato arretrato ma che oggi si dimostra vincente».
D’accordo Tremonti, che rilancia: «Siamo un Paese unito, di enorme civiltà, coeso, molto unito socialmente. Chi pensa di far dipendere il futuro politico e la ripresa economica dal conflitto sociale si sbaglia». Del dibattito Vittadini sottolinea in conclusione il punto focale, ovvero la «lotta al meccanicismo», cioè l’idea che a determinate azioni seguano precise conseguenze. Un modello che viene applicato all’economia escludendo il suo fattore principale, cioè la persona. Ma è proprio la capacità costruttiva e creativa dell’uomo, soprattutto degli imprenditori, a poter generare un’ imprevista via d’uscita alle situazioni di crisi come quella attuale. Una capacità che nasce fuori dall’economia «perché – ricorda infine Vittadini – è educativa», una ricchezza tutta italiana.
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