Il Tribunale di Torino non ha accolto il ricorso di sei lavoratori licenziati da Foodora e la sentenza ha subito scatenato reazioni anche a livello politico. «Sono amareggiato per i lavoratori che non hanno ottenuto giustizia e comprendo la loro rabbia e la delusione, ma andremo avanti», ha dichiarato Marco Grimaldi, segretario di Sinistra Italiana che segue da anni la vertenza e ieri era presente all’udienza conclusiva. Questa è la prima decisione sulla Gig economy in Italia, ma potrebbero essercene altre: «I lavoratori e le lavoratrici delle altre piattaforme (Deliveroo, Just Eat) si stanno organizzando», ha aggiunto Grimaldi, come riportato da Torinoggi. L’esponente di Sinistra Italiana invita i lavoratori a non arrendersi: «Unirsi e lottare come hanno saputo fare questi ragazzi continua a essere fondamentale. Continueremo a dare battaglia nelle sedi istituzionali e in Parlamento perché l’economia della piattaforma rispetti come ogni azienda la Costituzione». (agg. di Silvana Palazzo)
TORINO, RESPINTO RICORSO DEI RIDER CONTRO FOODORA
Il Tribunale del lavoro di Torino si è espresso oggi in merito al ricorso presentato da sei rider di Foodora, i quali avevano intentato una causa civile – la prima nel suo genere in Italia – contro la società tedesca di food delivery che aveva deciso di interrompere il loro rapporto di lavoro dopo le mobilitazioni del 2016 in cui chiedevano un giusto trattamento economico e normativo. La decisione, però, non si è affatto rivelata a favore dei fattorini in bici poiché, come riporta Repubblica.it, i giudici si sono espressi negativamente, respingendo il loro ricorso. Nello specifico, secondo il Tribunale il suddetto ricorso non avrebbe motivo di esistere dal momento che sono da considerarsi dei semplici collaboratori autonomi e dunque non legati da un rapporto di lavoro subordinato con Foodora. I fattorini erano presenti in aula, oggi, al momento della lettura della sentenza, durante la quale sono rimasti in assoluto silenzio. I legali della società, di contro, hanno espresso piena soddisfazione commentando: “Siamo soddisfatti, ora aspettiamo di leggere le motivazioni del giudice”. Decisamente differente la posizione della difesa dei sei fattorini che, attraverso l’avvocato Sergio Bonetto ha fatto sapere: “Purtroppo oggi non è stata fatta giustizia, questo è il nostro Paese. Quello che colpisce di più è che un’azienda può mandare chiunque a lasciare pacchi senza alcuna tutela”. Più dure le parole della collega, avvocato Giulia Druetta, che ha aggiunto: “Forse per cambiare le cose deve scapparci il morto”. Ad ogni modo hanno già annunciato di voler fare ricorso in appello, spiegando come questo tipo di contratto toglie dignità ai lavoratori.
PRIMO PROCESSO IN ITALIA CONTRO FOODORA: LA SENTENZA
Quello che si è concluso oggi a Torino, con una sentenza che ovviamente non ha avuto l’esito sperato per i rider coinvolti, è stato il primo processo contro Foodora nel nostro Paese. In tanti colleghi (anche di altre società) dei fattorini hanno appoggiato la battaglia intrapresa, affollando l’aula del tribunale. Durante il dibattimento, la difesa dei sei fattorini aveva posto l’accento sul tipo di contratti privi di alcuna tutela e sulle condizioni di lavoro alle quali erano costretti molti lavoratori, “sotto ricatto e al di fuori dalle regole previste da qualunque attività lavorativa”. E’ lo stesso avvocato Druetta a spiegare come i rider Foodora fossero sottoposti a continui controlli “come se avessero un braccialetto elettronico”, parlando di “un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato”, sebbene fossero inquadrati come collaboratori autonomi. Ed ancora, la difesa ha contestato la continua pressione psicologica che il colosso tedesco imponeva sui suoi lavoratori “finalizzata al mantenimento del posto di lavoro”. Per non parlare del continuo controllo sugli orari lavorativi, che potevano cambiare senza alcun preavviso. Dal momento in cui iniziarono le proteste relative al sistema di retribuzione, però, i rapporti con l’azienda si incrinarono in modo drastico. Di diverso avviso la difesa di Foodora che ha spiegato come l’azienda non abbia di fatto violato la privacy dei rider. “L’applicazione utilizzata sullo smartphone poteva accedere, attraverso il gps, soltanto al dato sulla geolocalizzazione, istantaneo e non memorizzato”, ha spiegato l’avvocato Giovanni Realmonte, rispondendo a tutte le critiche sollevate dalla controparte.