L’obiettivo era promuovere accessori e valigie, offrendo anche un’opportunità di formazione-lavoro, ma invece Carpisa ha scatenato una bufera. Nei giorni scorsi l’azienda ha lanciato una campagna marketing per proporre, a chi acquista una borsa, di partecipare a un concorso per una collaborazione mensile nel settore comunicazione della società. Il vincitore farà uno stage di un mese, da novembre a dicembre, nell’ufficio di Nola. Il contratto prevede una retribuzione/rimborso spese del valore di 500 euro. La campagna della casa di pelletteria ha suscitato molte reazioni virali, tanto che l’hashtag #Carpisa è diventato il secondo su Internet. Critiche e prese in gro sul web, ma si sono fatti sentire anche i sindacati. Per Filcams Cgil si tratta di «un concorso svilente ed irrispettoso per i tanti giovani che studiano, si impegnano e aspirano ad un lavoro nel settore del marketing e della comunicazione». Le scuse dell’azienda non si sono fatte attendere: in una nota Carpisa ha espresso il dispiacere per «la superficialità con la quale è stato affrontato un tema così delicato come quello del lavoro», ma ha anche precisato che è «in completa antitesi con una realtà imprenditoriale fatta invece di occupazione ed opportunità offerte in particolare al mondo giovanile».
LA “DIFESA” DI SELVAGGIA LUCARELLI
Carpisa è diventato twitter trend, tra l’ironia e la rabbia degli utenti. «Chissà chi me lo ha fatto fare di iscrivermi all’università, quando potevo comprarmi una borsa», ha scritto una utente. A prendere le difese di Carpisa è stata Selvaggia Lucarelli, che pure ha riconosciuto il fatto che l’azienda abbia toppato. «Quella di Carpisa è stata una cattiva idea», ha scritto la giornalista del Fatto Quotidiano, secondo cui bisognerebbe concentrarsi sulla sostanza. E quindi parte l’attacco nei confronti di chi ha ipocritamente attaccato l’azienda senza indignarsi per questioni ben più serie: «Ricorderei agli indignati SOLO per Carpisa e i suoi mezzucci per sfruttare i lavoratori, che molto probabilmente i vestiti che indossano, i cellulari che usano e le lenzuola in cui dormono beati, sono stati realizzati da lavoratori spesso minorenni, spesso pagati una manciata di dollari per 16 ore al giorno di lavoro e spesso inalando sostanze chimiche che li faranno crepare presto».