Ha fatto scalpore tra alcuni, a quel che leggo, l’intervento di Giorgio Vittadini sulla scuola al Meeting di Rimini. Troppo buonista, troppo aperto al dialogo per il dialogo (mentre pare il vero dialogo sarebbe portare l’altro sulle proprie posizioni, quelle “giuste” e quelle “vere”, e non cercare di costruire insieme una verità umana comune, da abitare insieme). Troppo “materasso” e pochi “muri” nelle sue opinioni.
Insomma, quasi una diserzione, quella di Vittadini, dall’impegno educativo di Cl e di Giussani, da esercitarsi solo in scuole del Movimento.
Non voglio tirare in ballo l’invito evangelico a perdere la propria anima per ritrovarla, e il fatto che Giussani i valori cattolici era andato a proporli nella scuola pubblica, per trovare le sue pecore dove stavano; per farne magari ciellini, ma non pare avesse in mente che la missione educativa di Cl potesse ridursi a edificazione dei ciellini — tra una lezione e un’altra — già belli e preparati dal Movimento nelle “loro” scuole. In questo senso la polemica ha offuscato un po’ un punto che mi sembra centrale nelle riflessioni di Vittadini. E cioè la presa di coscienza dell’obsolescenza della contrapposizione scuola pubblica-scuola privata — ma diciamo pure, se può far piacere a qualcuno, scuola statale e non-statale o “libera” — a tutela dei valori cattolici, nel mutato contesto multiculturale della società italiana.
La realtà dell’educazione certo ha e deve avere radici profonde nelle scelte educative della famiglia e nei valori, anche religiosi, della comunità di riferimento, ma lo spazio pubblico dell’istruzione non vive solo dei presupposti del retaggio educativo familiare in questo senso, ma anche dell’educazione del cittadino ai valori della laicità repubblicana. E questo è un punto che anche chi è interessato alla tutela della scuola privata come tutela della libertà educativa deve oggi inquadrare meglio che in passato. Perché questa istanza non è laicismo, ma educazione ad uno spazio pubblico condiviso dove possono e devono entrare in relazione, convivendo ordinatamente, presupposti culturali, spirituali e morali, e conseguenti scelte educative le più diverse. E quest’istanza è un orizzonte non dismissibile nelle problematiche dell’istruzione pubblica che lo Stato deve garantire quando la convivenza di presupposizioni di mondi vitali culturali e religiosi si fa plurima nel contesto delle società multietniche e multiculturali, ben più che per il passato, quando la dialettica era ristretta al segno più o meno di una singola credenza religiosa pervasiva dell’intera società, insomma alla dialettica post-unitaria laici-cattolici.
Il che vuol dire che nella società multiculturale, proprio a proteggere l’orientamento educativo familiare, e a farlo convivere con la differenza di questi orientamenti, il ruolo pubblico della scuola statale è destinato a crescere e non a diminuire, non per laicismo ma per la laicità necessaria ad una società plurivaloriale oggi già nell’ambito familiare. E in questa scuola pubblica e statale si giocheranno più che per il passato la tutela dei valori cari a Cl, a meno che non si immagini di volerli puri e minoritari, largamente minoritari, nelle proprie scuole.