257 pagine di denuncia contro la giustizia. E’ questo il bilancio del libro di Diego Olivieri, intitolato “Oggi a me, domani a chi?”. Uno scritto corposo, redatto per la maggior parte in carcere, e con cui il commerciante di Pellami di Arzignano ha trasferito tutta la sua disperazione. Un anno in cui a finire dietro le sbarre non è solo un uomo innocente, come verificato dalla Cassazione nel 2008, ma la stessa giustizia. Una gabbia troppo stretta per chi è in attesa di giudizio, accusato ingiustamente di aver favoreggiato la mafia. Per l’assoluzione con formula piena, Diego Olivieri ha dovuto attendere tuttavia molto di più. Il tribunale di Roma ha infatti espresso il proprio verdetto solo nel novembre del 2012, aumentando di cinque anni il calvario dell’imprenditore. Un arresto anomalo che, come sottolineato all’epoca dal Giornale di Vicenza, è avvenuto via telefono. E’ la DIA a presentarsi quella notte a casa di Olivieri, ma fa un errore: bussa alla porta di Christian, il figlio del commerciante. Il genitore scoprirà quindi del suo arresto tramite il ragazzo, che in seguito gli passerà al telefono il Maresciallo.
L’imprenditore commerciale di Arzignago, Diego Olivieri, ha vissuto nove anni fa una vera e propria odissea giudiziaria. Il suo caso verrà presentato tramite il film di Rai 3 Io Sono Innocente, che tratterà uno degli errori più clamorosi commessi dalla giustizia italiana. Diego Olivieri infatti è stato rinchiuso in cella nell’ottobre del 2007 con l’accusa di essere affiliato ad un’organizzazione a delinquere di stampo mafioso, dedita al riciclaggio ed al narcotraffico. Vivrà da quel momento in poi un calvario che durerà un anno e che culminerà con il verdetto di innocenza emesso nel 2008. La sentenza della Corte di Cassazione, a cui l’imprenditore si è rivolto perché venisse dimostrata la verità sul suo conto, è divenuta irrevocabile. Diego Olivieri non ha per ora manifestato l’intenzione di volere un risarcimento per la sua detenzione, giudicata a tutti gli effetti e senza dubbio del tutto ingiusta. La vicenda che ha vissuto il commerciante di pellami all’ingrosso ha avuto la funzione di motore per il libro Oggi a me domani a chi, tramite cui Olivieri ha raccolto fondi ed ha creato l’associazione no profit Futuro per tutti, avviando un progetto di costruzione in Burundi per un ospedale destinato ai bambini. In un’intervista del Corriere Vicentino dell’epoca, Diego Olivievi ha descritto nel dettaglio i tragici momenti che quella notte lo hanno portato dietro le sbarre assieme ad altri 25 imputati, ma per capire esattamente il tipo di reato di cui era stato accusato, l’imprenditore impiegò almeno cinque mesi.
Silenzio, disperazione. Sono questi i primi sentimenti che Diego Oliviero vive nelle ore in cui viene arrestato, con l’accusa di aver violato la legge 416 bis. In pratica, agli occhi delle autorità l’imprenditore di Arzignago, in provincia di Vicenza, faceva parte di un’organizzazione esterna alla mafia, in cui era impegnato proprio grazie al proprio lavoro. In realtà all’epoca dei fatti, come ha sottolineato lo stesso Oliviero in un’intervista, le testate nazionali in quei giorni gli imputavano reati di riciclaggio e droga, pari ad un valore di 600 milioni di dollari. L’accusa si basava su un rapporto lavorativo che il commerciante aveva stretto con un fornitore del Canada e con cui aveva lavorato per 13 anni. In quell’arco di tempo, afferma Diego Olivieri al Corriere Vicentino, questa persona non gli aveva mai proposto di compiere alcun tipo di illecito, tanto che l’arresto gli arriva quella notte di ottobre come un secchio d’acqua gelida in pieno volto. La reazione di Olivieri è immediata. Trasportato in carcere a Vicenza, viene trasferito a Roma perché richiede di parlare con il Pubblico Ministero che si occupa del caso. Rimane nella Capitale per due mesi, durante i quali affronta due interrogatori senza concludere nulla e viene riportato a Vicenza, in un carcere di alta sicurezza, “considerato una persona pericolosa in mezzo a persone pericolose”.
La vita in carcere è di per sé molto dura, ma ciò che ha vissuto Diego Olivieri è ancora più tragico. Rinchiuso in mezzo a sequestratori, assassini e narcotrafficanti, la prima necessità dell’imprenditore è sopravvivere. Riuscire a mantenere i rapporti “civili”, quando vivi 20 ore al giorno in una cella di 11 metri con altri 3 detenuti, è estremamente difficile. Così Olivieri inizia a ritagliarsi uno spazio tutto suo, offrendo il proprio aiuto ai compagni di prigionia. Scrive le proprie memorie, per non dimenticare nemmeno il più piccolo particolare di ciò che sta vivendo e per liberare la mente dal dolore. Scrive anche lettere per conto degli altri detenuti, dato che molti sono analfabeti e non hanno conseguito neanche la licenza elementare. Diego Olivieri intanto continua a combattere e per evitare che l’attività che i suoi progenitori hanno messo in piedi con fatica, passa il testimone al figlio maggiore Christian, al tempo giovanissimo. A lui il compito di mantenere le redini dell’azienda, ormai alla quarta generazione. Ed a chi gli domanda come mai una persona innocente possa finire in carcere, l’imprenditore scuote la testa, consapevole che “intanto ti mettono dentro”, poi si vede. A questo si aggiungono le dichiarazioni false di chi, preso dalla disperazione, decide di vuotare il saco anche a discapito della verità.