C’era una volta… il servizio pubblico. Quanto andato in onda sabato scorso su Rai 3 nel programma “Chakra” condotto dalla scrittrice e critica Michela Murgia potrebbe in effetti essere raccontato come una “fiaba” moderna, dove la realtà e la fantasia, la verità e l’insinuazione, non sono più per nulla distinti e chiari ma vengono presentati l’uno sotto le forme dell’altro con il risultato di ottenere un bello “shake” di sentimenti e opinioni che “devono” essere accettati da tutti. Altrimenti sei dogmatico, schiavo, sessista, e quant’altro se ne sentono in questi tempi. Ma cosa è successo di preciso? Ecco, diciamo che la puntata in questione è stato un bello spot di oltre 40 minuti sulla vicenda dell’utero in affitto. Ops, non doveva dire così forse, come ci ha bacchettato subito la conduttrice e Nichi Vendola, ospite d’onore di Chakra, «è un’affermazione volgare e violenta». Bisogna parlare di “nuove maternità”, di “gestazioni per altri”, e non si può dire maternità surrogata o “peggio ancora” di utero in affitto: la realtà va nascosta e vilipesa, al suo posto deve scattare la “propria” verità. Succede che dunque al termine del programma Michela Murgia – divenuta famosa in tv anche per i suoi consigli/critiche ai libri – consiglia di rileggere il grande classico di Collodi “Pinocchio” come l’antesignana storia dell’utero in affitto, «una paternità alternativa di quelle senza una madre biologica, il tutto a dimostrazione che si può nascere come una cosa e diventare persona attraverso le relazioni».
COLLODI E IL “TOCCO DI FATA”
«Da un servizio pubblico ci saremmo aspettate un’informazione imparziale e ad ampio spettro. Michela Murgia», si legge nella lettera, «ha voluto presentare solo un lato della medaglia, di fatto mandando in onda uno spot pro-Gestazione per altri. La conduttrice non ha mai chiesto a Nichi Vendola, il quale si è spinto addirittura a parlare di “produzione di vita”, quanto abbia pagato per l’acquisto degli ovociti e per la surrogacy negli Stati Uniti (il prezzo è circa 130mila euro), né ha dato conto delle numerose testimonianze di madri surrogate pentite che sono finite in tribunale per avere la possibilità di vedere i figli o per non dover abortire»: sono le parole della lettera indirizzata da un gruppo di genitori, femministe, anche l’associazione Arcilesbica direttamente alla Rai che non hanno gradito per nulla lo “spot” all’utero in affitto in pieno pomeriggio. Insomma, non solo cristiani o fan di Collodi si sono “ribellati”, ma anche femministe che pure non credono a quanto affermato ideologicamente senza praticamente contraddittorio. Bene, in attesa di vedere se vi saranno conseguenze a livello di servizio pubblico, soffermiamoci un attimo sul Geppetto “presunto” precursore di Nichi Vendola: per Carlo Lorenzini – in arte Collodi – il capolavoro del burattino di legno divenuto bambino ha rappresentato e raccontato un messaggio per tutti che svelava il mistero centrale dell’universo.
«Ai piccoli lettori non diceva tanto come dovessero comportarsi, bensì narrava la storia dell’uomo e presentava il senso dell’esistenza», commenta il Cardinal Giacomo Biffi, il compianto prelato che ha costruito molta sua catechesi proprio sulla dimensione escatologica ed educativa inserita in Pinocchio. Collodi ha voluto scrivere una storia che, per parlare alla mente e al cuore dei piccoli, «li andasse a trovare dove di fatto stavano, nel loro mondo spirituale con le loro persuasioni», come scrive su Avvenire Andrea Fagioli. La Murgia parla di una fiaba sulle relazioni? Di un padre che si “crea il figlio” da solo? E che dunque non vi sarebbe bisogno di nessuna madre biologica? Beh, se per caso avesse mai letto a fondo la fiaba del burattino, forse la Murgia – e tutto il pubblico schierato a prescindere per difendere il diritto della scelta di “gestare” per altri – si sarebbero accorti che per poter diventare davvero bambino, per la crescita e liberazione di Pinocchio c’è stato bisogno di Geppetto e della Fata Turchina. Una figura materna e una paterna, che da soli non bastano per diventare uomini ma attraverso la libertà (e la fuga con rimpianto) possono essere quei protagonisti di una famiglia essenziale e irrinunciabile per Pinocchio.
LA REALTÀ E LA BUGIA
Quel “tocco di fata” per Collodi rappresenta forse uno dei maggiori colpi di genio del grande scrittore ottocentesco toscano: «il tema della libertà. Basti pensare alla scelta di un burattino legnoso come protagonista della narrazione, anch’essa una cifra: è in fondo il simbolo dell’uomo, che da ogni parte viene condizionato, è schiavo degli oppressori e dei persuasori occulti. E rimane legato a fili invisibili che determinano le sue decisioni e rendono illusoria la sua libertà. Se Pinocchio non resta prigioniero del teatrino di Mangiafuoco è perché a differenza dei suoi fratelli di legno riconosce e proclama di avere un padre. È questo il segreto della vera libertà, che nessun tiranno può portar via», spiegava il cardinal Biffi a chi invece riteneva il romanzo di Pinocchio un inno alla liberazione dalla tradizione. Tutto l’opposto: una tradizione che viene recuperata e privata del suo elemento ideologico per poter essere riconosciuta e riscoperta. Con libertà. Una realtà davanti che si trova nelle pagine del libro di Collodi e non nelle pieghe di uno spot pro-utero in affitto. Una realtà di una libertà del burattino che ha fatto sognare e riflettere decine di generazioni e che di colpo viene fatta passare, con una lettura forzata e impregnata di “scaltra ideologia”: per Vendola e per la Murgia l’importante è «abbattere gli schemi per fare spazio al mondo della relazione significante perché è l’affetto che legittima tutto». Geppetto non è un padre alternativo, è un padre fino in fondo ed è l’unico elemento che permette a Pinocchio di rendersi conto nel paese dei balocchi che quella promessa di libertà è farlocca e malvagia, e allora scappa. Le bugie hanno il naso lungo cara Murgia: proviamoci, insieme, a leggere Pinocchio e vediamo se il mito nuovo del “sentimento oltre ogni legame” davvero riesce a “battere” la semplice, umile e schietta realtà dell’amore libero proprio perché dipendente da un padre (e una madre).