“Avvenire” da ampio spazio alla storia di Farhad Bitani, figlio di un mujaheddin, un generale afgano che sembrava destinato alla guerra e al fondamentalismo, che ha deciso invece di dire no alla parte più crudele del fondamentalismo religioso, riuscendo ad affrancarsi dalle atrocità quotidiane della guerra. Atrocità che, come raccontato da Farhad stesso nell’intervista, hanno fatto parte della vita e dell’infanzia di tutta la sua generazione di afghani, con il suo paese che dopo il 1986 risultava diviso in ben 24 fazioni che hanno di fatto reso il paese una vera e propria polveriera ed una culla potenzialmente favorevole per il fondamentalismo. I talebani presero il potere in Afghanistan intorno al 1996: Farhad ricorda come a soli 10 anni fu indottrinato all’odio contro gli infedeli nelle scuole coraniche, costretto a memorizzare il Corano in una lingua per lui incomprensibile e a vivere a stretto contatto con i fondamentalisti.
FARHAD BITANI, L’EX FONDAMENTALISTA
L’ESTREMISMO CHIAVE PER LA RADICALIZZAZIONE
Farhad ricorda come la conoscenza dei fondamentalisti sia stata essenziale per lui per entrare a contatto con un certo tipo di mondo, e soprattutto per comprendere come la religione, se usata a uso e consumo di certi interessi, possa trasformarsi in uno strumento in grado di influenzare il potere economico e politico, usando la parola religiosa come un mezzo di sottomissione ed esercitando questo potere solo ed esclusivamente tramite la violenza, l’oppressione e la repressione. Un quadro che non lasciava molta scelta, con Farhad che si trovava circondato da persone che, pur commettendo atrocità, violenze sulle donne, che usavano droga, rappresentavano comunque i suoi più stretti conoscenti e amici. Farhad racconta di aver assistito a scene terribili, come gli abusi sui bambini che venivano vestiti con abiti femminili: violenze e soprusi inauditi che a suo parere non hanno mai avuto nulla di religioso, ma che tramite la predicazione religiosa arrivavano ai ceti più popolari.
“TROVARE DIO NEL CUORE DI TUTTI GLI UOMINI”
Cresciuto in un ambiente che non rispettava i principi di eguaglianza e libertà che secondo Farhad dovrebbero regolare la vita di tutti gli uomini, il giovane figlio del generale ha rischiato di finire risucchiato, senza possibilità di redenzione, nel gorgo del fondamentalismo. A farlo cambiare sono stati quei gesti quotidiani che gli hanno fatto capire l’enorme potenziale degli esseri umani intorno a sé: scoprire che Dio abita nel cuore di ogni essere umano attraverso lo sguardo innocente di due bambine. Piccole epifanie che lo hanno portato in Italia a raccontare gli orrori del fondamentalismo e a mettere tutti in guardia riguardo i pericoli che il fanatismo religioso può portare con sé. “Il mio messaggio di speranza è questo,” ha raccontato a Farhad, “riuscire a capire sé stessi aprendosi agli altri, al rispetto, alla tolleranza delle vite e dei costumi altrui, in nome di un Dio che in fondo è per tutti gli uomini lo stesso: quello che risiede nel cuore.”