Dopo il suicidio di Marco Prato, il giovane che oggi avrebbe dovuto sostenere la prima udienza del processo per l’omicidio di Luca Varani, circolano in rete parti del suo presunto testamento. Lo rende noto Gay.it che riporta quanto evidenziato da Il Tempo. Il riferimento non è alla lettera che Prato avrebbe scritto in carcere prima di togliersi la vita in cella, bensì ad un vero e proprio testamento scritto a mano, cancellato e corretto su fogli scarabocchiati e rinvenuto nella stanza dell’hotel romano, a poca distanza dall’appartamento del Collatino nel quale fu ucciso il giovane Varani, a poche ore dal delitto. E’ qui che Marco Prato si era rifugiato prima di tentare il suicidio. In quella circostanza il giovane indicò in 11 punti quali fossero le sue ultime volontà, destinate alla famiglia ed agli amici più stretti. Si definiva una “persona orribile” e chiedeva perdono. “Fate festa per il mio funerale, anche se vorrei cerimonia laica, fiori, canzoni di Dalida, bei (sottolineato due volte) ricordi: una festa! Dovete divertirvi!!”, erano le sue direttive. Il giovane voleva essere cremato ma non prima di essersi “rigenerato la chioma” con l’indicazione del centro capelli romano al quale rivolgersi. “Mettetemi la cravatta rossa, donate i miei organi, lasciatemi lo smalto rosso alle mani. Mi sono sempre divertito di più ad essere una donna”, scriveva ancora.
Poi invitava i suoi amici a ricordarlo riunendosi a cena o a pranzo, almeno una volta a settimana o al mese, di sentirsi Dalida ogni tanto ma soprattutto di buttare e distruggere il cellulare ed i suoi due computer. E’ lì che, a sua detta, si annidavano “i miei lati brutti”. E l’invito finale era proprio a quel suo lato oscuro: “Non indagate sui miei risvolti torbidi, non sono belli”. Forse anche per questo ha deciso di togliersi la vita alla vigilia del processo. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
Parole dure quelle del padre di Luca Varani in occasione del suicidio di Marco Prato. Il dolore per la morte del figlio, avvenuta in modo brutale, non lo spinge a provare lo stesso tipo di empatia anche da chi era stato accusato del suo omicidio. Certo è innegabile che ci troviamo di fronte ad un’altra morte di un essere umano, che nonostante le accuse non meritava questa fine. Questo è il pensiero del padre di Luca Varani, che non dimentica come Marco Prato e Manuel Foffo, condannato a 30 anni con rito abbreviato, abbiano cercato di scaricare le responsabilità del delitto l’uno verso l’altro. “Dall’inizio hanno partecipato tutti e due”, continua Giuseppe Varani a La Zanzara, “il fatto lo hanno voluto compiere loro”.
Giuseppe Varani sottolinea nella sua lunga dichiarazione come sia Marco Prato che Manuel Foffo si trovassero insieme al momento del delitto e che entrambi, in base alle ricostruzioni, abbiano deciso di mettere in atto le sevizie su Luca Varani. Torturato per ore, mentre agonizzava sotto ai colpi inferti. E sulla presunta innocenza del pr di Roma, ribadita anche nell’ultimo scritto prima di suicidarsi, Giuseppe Varani non ha alcun dubbio: “Chiunque per difendersi lo dice”. Secondo il punto di vista del padre di Luca, il vero processo per la morte del 22enne non sarebbe mai avvenuto. Per il processo a carico di Manuel Foffo, il legale dei Varani non ha potuto infatti intervenire, come previsto dal rito abbreviato. E invece il suicidio di Marco Prato ha tolto alla famiglia della vittima l’unica possibilità di pretendere ancora che venga fatta giustizia.