Si sta facendo un gran parlare della partita a scacchi nel mondo dell’editoria italiana e si arriva ormai a ipotizzare, in una girandola di nomi e cognomi, i futuri direttori dei maggiori quotidiani italiani. Sembra che sia una partita tutta interna al mondo editoriale, quello tradizionale, che vale ancora come riferimento di grande opinion-maker.
Ma se si parla con qualche uomo di finanza, che capisce il mondo dei media e soprattutto del new media, si sentono discorsi del tutto differenti: «Siete solamente voi giornalisti che potete immaginare, in un periodo come questo, un riassetto complessivo, nuovi incarichi e cambiamenti solo legati alla carta stampata. Il mondo dell’informazione, meglio sarebbe dire della comunicazione globale, è in grande fibrillazione. Si può dire che ormai siamo alla vigilia di un’altra esplosione mediatica. E il traino di tutto sarà tracciato dalla nuova tecnologia televisiva e di quella on-line. E’ già avvenuto in America, sta partendo in Europa e non si capisce perché non dovrebbe sbarcare in Italia. Prima sistemeranno questo settore, poi toccherà ai giornali. Anche se, nella loro formula, dovranno essere necessariamente ripensati».
In realtà nessuno ha dimenticato il continuo shopping di Rupert Murdoch nel mondo dei giornali e la sua lenta espansione sul satellite. Solo un anno fa, Murdoch si è preso niente meno che il più influente quotidiano economico del mondo The Wall Street Journal. Intanto, mentre la sua News Corp si estende da un continente all’altro, si può vedere Sky, in Italia, che comincia a mettere preoccupazione non solo alla Rai ( in alcuni settori sembra una televisione ferma agli anni Settanta) ma alla stessa Mediaset, per l’offerta dei suoi canali tematici. L’ultimo acquisto di Fiorello è apparso a tutti un investimento e un attacco pesante ai concorrenti, nel settore che si può chiamare dell’intrattenimento. Ma se tra qualche tempo a Sky arrivasse un Ferruccio De Bortoli , che cosa si penserebbe nel mondo della stessa informazione?
Forse, per paradosso, c’è un po’ di disinformazione nel mondo del giornalismo italiano, anche nei suoi organi sindacali, sempre in attesa del rinnovo di un contratto, che non si sa bene come sarà e a quale nuovo tipo di professione dovrà corrispondere.
Sarebbe bene fare attenzione a quello che succede in altri Paesi. E’ significativa la voce che Yahoo! si sia interessata a una delle più grandi testate del mondo come The New York Times. Basta poco a prefigurare sinergie impensabili nel mondo della comunicazione fino a qualche tempo fa. Con editori che, al posto di rappresentare vecchie famiglie o interessi politico-economico-finanziari, sono inseriti ormai in una nuova imprenditorialità multimediale. Varrebbe quasi la pena di aprire un dibattito ampio, all’interno non solo del mondo giornalistico, ma del mondo editoriale in generale, su questa grande trasformazione in atto.
Che ormai si sposti sia la domanda pubblicitaria, sia la richiesta dell’informazione (sempre più in tempo reale) sull’on-line è un fatto assodato e documentato. Lo si può vedere nei bilanci e negli investimenti delle grandi case editrici. Ma tutto questo non provoca solo una emorragia delle vecchie tirature dei quotidiani e dei settimanali (fatto mondiale, con qualche rara eccezione, non solo legato alla gran crisi mondiale), ma anche l’irruzione nel mondo della comunicazione di nuovi soggetti. Un esempio per tutti può essere rappresentato dai blogger, che già oggi hanno uno spazio riservato nei convegni, nei congressi e nelle conferenze stampa.
Se questo è un problema che può riguardare il nuovo editore e il nuovo giornalista del futuro, più interessante ancora appare lo scenario che si può aprire nel prossimo futuro italiano. Si parlava delle sinergie relative alla carta stampata e all’on line. Ma più sconvolgenti nel campo della comunicazione sembrano quelle relative alla televisione, alle possibili sinergie tra il telefono e la televisione, che rinviano tutte alla rete, all’autostrada di tutti i messaggi, che sta avviandosi a diventantare sempre più tecnologicamente avanzata e che ormai sembra l’asset decisivo per la nuova comunicazione in tempo reale.
In queste ultime settimane, in Italia si è parlato di alcuni fatti di cui era quasi impossibile discutere solo qualche tempo fa. Dopo una sorta di guerriglia tra Mediaset e il gruppo di Murdoch sull’Iva per la tv satellitare e della pay-tv, si è saputo che la Rai ha disdetto degli accordi con Sky. che consentivano a quest’ultima di diffondere anche i canali della Rai sulla sua piattaforma. A giugno prossimo ci sarà una nuova piattaforma, TivùSat, un accordo vero e proprio tra Rai e Mediaset, che si porrà in concorrenza diretta con Sky. Ma a tutto questo occorre aggiungere la questione relativa al digitale terrestre.
Sembra già questo l’aspetto parziale di uno scenario inedito sul mercato della comunicazione in Italia. Mentre si assisteva a tutto questo che, all’inizio, è stata chiamata una sorta di guerra tra Murdoch e Berlusconi, il dibattito si è spostato improvvisamente su Telecom Italia, con una sorta di voci e di dichiarazioni.
Mentre i grandi soci di Telco, la holding che controlla Telecom, stavano svalutando la loro quota a causa della crisi dei mercati, si è parlato di un socio importante, la spagnola Telefonica, che avrebbe avuto contatti o colloqui con Murdoch. E qualcuno ha pure paventato che Telefonica potesse essere il battistrada di un takeover di Murdoch su Telecom. A questo punto, c’è stato uno scatto di nervi generale, perché se Rupert Murdoch mettesse le mani su Telecom e se quella rete, in un prossimo futuro, imboccasse la tecnologia Iptv, cioè la distribuzione di contenuti attraverso i cavi del telefono, si troverebbe in una posizione di grande vantaggio rispetto a Rai e Mediaset.
Pochi giorni dopo che era circolata questa voce, l’ex consulente economico del Presidente Romano Prodi, Angelo Rovati, che rimase scottato nel settembre del 2006 per un piano sulla Telecom di Marco Tronchetti Provera, ha lasciato una intervista a Il Sole 24 Ore dove ha lanciato (per conto di chi?) un’indicazione in tre punti: necessità dello scorporo della rete Telecom; pagare con qualche vendita di asset societari gli spagnoli di Telefonica, in contropartita delle azioni Telecom, e farli uscire; creare una media company di grandi dimensioni con una fusione tra Telecom e Mediaset. Secondo Rovati una simile soluzione porterebbe anche a un ridimensionamento del conflitto di interessi di Silvio Berlusconi, perché una fusione Mediaset con Telecom metterebbe Fininvest nella condizione di azionista di riferimento, ma in minoranza nell’azionariato. Per dovere di cronaca, la fusione di Telecom e Mediaset era già stata studiata, qualche anno fa, dalla stessa Mediobanca.
Non si sa bene se questa ridda di voci e di dichiarazioni siano tutte “piste” oppure “manovre depistanti”. Ma un fatto è certo: anche in Italia è cominciato il grande risiko nel mondo della comunicazione, che partirà dai nuovi media, dal mondo delle televisioni, dal riposizionamento delle multinazionali del video e dei telefoni per arrivare poi alla realtà delle vecchie case editrici dei giornali. Prendere coscienza di tutto questo, non è un fatto secondario, soprattutto in un Paese, dove televisione informazione sono quasi un fatto ossessivo per la classe dirigente, sia essa politica o industriale o finanziaria, e dove, ancora sino a poco tempo fa, si parlava principalmente di “par condicio”.
Questione che oggi, di fronte a questo scenario, sembra un “dibattito tra antenati”.
Ma c’è qualche cosa in più da aggiungere. Il risiko della comunicazione sembra destinato a essere, nell’immediato dopo-crisi, il protagonista di una nuova “bolla” rialzista sui mercati mondiali.