Le cause immediate della colossale inefficienza all’origine dell’alluvione, che ha devastato alcuni quartieri di Genova già colpiti tre anni fa da un evento analogo, sono molte. Alcune di esse sono strutturali, ma altre sono inescusabili perché qualcosa si sarebbe potuto fare comunque. Pensiamo innanzitutto alla pulizia degli alvei e al taglio e allo sgombero della vegetazione che vi germoglia e vi cresce nei lunghi periodi di secca estiva. Un tempo in Liguria vi si provvedeva tempestivamente e competentemente con delle corvées a carico dei proprietari dei terreni rivieraschi. Poi questa intelligente pratica è stata prima trascurata e poi abbandonata perché ritenuta arcaica. Si è detto che molto meglio vi avrebbe provveduto lo Stato. E adesso si comincia a vedere con quali risultati. Beninteso, in aree che al di là di ogni prudenza sono state urbanizzate a ridosso di fiumi torrentizi, la pulizia degli alvei non basta, ma avrebbe molto aiutato se non altro a ridurre l’entità dell’esondazione.
Sarebbe meglio, invece, pensarci bene prima di proclamare la copertura del tratto urbano di questi corsi d’acqua come la soluzione di tutti i problemi. Qualcuno ha valutato che cosa, in caso di una piena eccezionale, può accadere se un alveo coperto viene otturato dai detriti trascinati a valle dalle acque alluvionali? C’è un bel caso di studio in Liguria su cui varrebbe la pena di tornare: quello del torrente incanalato che nel 2011 trascinò giù fino al mare il parcheggio auto a monte di Vernazza. L’esemplare rapidità del ripristino non dovrebbe esentare dall’utilità di un’analisi della causa di quel disastro, relativamente modesto rispetto a quello che in circostanze analoghe potrebbe provocare il Bisagno.
Alla radice di casi come l’alluvione di Genova, prima di ogni altra cosa, c’è tuttavia un problema per così dire di “filosofia” politica. La scelta cioè a favore o contro la responsabilità della persona come motore principale della cosa pubblica, ossia in ultima analisi a favore o contro la sussidiarietà. In forza di un modo di governo imposto allo Stivale dai fondatori dello Stato italiano, e finora mai smentito, il cittadino, la società, la comunità locale sono titolari solo del diritto di domandare. Il diritto/dovere di rispondere nella sostanza è tutto dello Stato. Al di là del suo modo simpatico di porsi e della sua capacità di comunicazione, Matteo Renzi è totalmente su questa linea. Tutte le risposte ai problemi che vengono da lui e dai suoi ministri sono di tipo centralizzante. Per ogni questione aperta la medicina è sempre la stessa: più Stato, più accentramento. E così puntualmente in questo caso: più Protezione civile statale, più ministeri, e meno sindaci.
Prima togli al sindaco il diritto/dovere di prendere decisioni attribuendo poteri sovrani ai servizi meteorologici regionali, poi fai fare la figura del merlo al primo e la figura degli incompetenti ai secondi; infine ti metti a trasferire allo Stato ogni potere sul governo minuto del territorio. Il Bisagno non è il Danubio, e nemmeno il Po.
E’ un fiume torrentizio lungo solo 30 chilometri circa. E’ un affare che riguarda esclusivamente Genova e qualche comune del suo retroterra. Per risolvere il problema una volta per tutte basterebbe restituire a Genova e agli altri comuni suddetti la piena responsabilità della gestione del bacino imbrifero del bizzoso ma esiguo corso d’acqua. Ci pensino loro, e se qualcosa non funziona i loro sindaci e le loro amministrazioni comunali ne rispondano pienamente davanti ai loro cittadini.
Ecco una bella occasione che si offre a Renzi per fare qualcosa di veramente innovativo: giocare almeno per una volta la carta della sussidiarietà trasferendo a Genova e agli altri comuni ogni potere sulla gestione del bacino del Bisagno. E’ il bacino minuscolo di un fiume che dopo trenta chilometri finisce in mare senza coinvolgere alcun altro territorio. Più bello di così…