Il caso degli abusi (presunti) sui chierichetti dentro le mura del Vaticano fanno ancora forte polemica non solo nel mondo dei media, nella lunga tradizione miscredente e anti-cattolica della cultura che non vedeva l’ora di attaccare la Chiesa per altri gravi casi di pedofilia; ma è nella stessa Chiesa che si sollevano dubbi e si pongono questioni relative alle modalità di affrontare un caso spinoso e gravissimo come quello dei chierichetti abusati, questa è l’accusa, all’interno del Preseminario San Pio X. Tra i tanti interventi, ne riprendiamo uno significativo di un parroco di provincia, Don Roberto Pandolfi da Grandate, che in quanto facente parte della Diocesi di Como si è sentito provocare in prima persona dai suoi parrocchiani sul trasferimento del presunto molestatore proprio nella diocesi lombarda. Parla di responsabilità, di Chiesa che non fugga dalla Verità e della necessità per tutti di fare i conti con il proprio ruolo e il proprio responsabile servizio volto al bene di Cristo e della Chiesa degli uomini:
«ormai la sfiducia nelle gerarchie ecclesiastiche è dilagante. E non tra coloro che noi continuiamo a definire “lontani” o “cristiani della soglia” o “cristiani anonimi”. Bensì tra i “vicini”, tra i frequentatori abituali della parrocchia, dell’oratorio, tra coloro che partecipano regolarmente alla Messa. In queste persone si sta radicando sempre di più l’idea che “le alte sfere” non abbiano per nulla a cuore il bene delle persone, soprattutto dei più piccoli, ma siano impegnate solo a fare magagne e a nasconderle o a negarle nel momento in cui vengono scoperte. Fa male sentir dire “io continuo a credere in Gesù, perchè se fosse per i preti…”. E questo senso di sfiducia è continuamente alimentato da fatti che sono portati all’attenzione dell’opinione pubblica e non efficacemente smentiti», si legge nel lungo bollettino parrocchiale pubblicato da Don Roberto online. Il prete parla anche a nome dei tanti ragazzi e delle loro famiglie che si sono allarmate dopo il servizio delle Iene Show riconoscendo il potenziale abusatore nella propria comunità.
UN PROBLEMA DI RESPONSABILITÀ
Don Roberto a questo punto si pone una serie di quesiti, anche forti, che vanno a identificare possibili errori e mancate responsabilità a livello delle varie sfere della gerarchia ecclesiale: «E ora che il Vaticano (dispettoso!) riapre le indagini e intende approfondire tutta la vicenda? Non potevano approfondirla nel 2014 il card. Comastri, l’allora vescovo di Como, i superiori del Preseminario, anzichè limitarsi a trasferire il seminarista sotto accusa nel seminario francese di Roma e il rettore del Preseminario a Como? Ancora calunnie? O mezze verità? Chi sta mentendo e perchè? Chi è stato superficiale? Chi ha cercato (tanto per cambiare) di minimizzare o, peggio, di insabbiare? Non è forse ora di fare chiarezza senza rifugiarsi dietro i comunicati stampa (ah, i comunicati stampa!) e dando pubblica relazione dei fatti attraverso una conferenza stampa alla presenza di tutti i giornalisti interessati alla questione? Che cosa si teme? O forse si pensa di trarre beneficio dal ruolo di vittime intervistate a bruciapelo, per strada?». Secondo il parroco di Grandate, il primissimo modo per alimentare la cultura del sospetto è proprio quello di rispondere in modo evasivo alle varie domande poste, o peggio di fuggirle; insomma, «L’immagine di una Chiesa in fuga dalla Verità. Una fuga sgommante, veloce e arrabbiata», spiega ancora nella lunga lettera disponibile online. Don Roberto a questo punto rivolge un appello, accorato e pieno di affetto – nonostante le tante critiche mosse – per la Chiesa di Cristo: «Come sarebbe bello vedere una gerarchia ecclesiastica che affronta le proprie responsabilità senza sottrarsi al confronto, ammettendo gli eventuali torti e affermando le proprie eventuali ragioni!».
E poi ancora, «Penso che sia proprio il caso di pregare, chiedendo al Signore che non siano replicati gli atteggiamenti di allora e che ognuno abbia il coraggio di rendere un’autentica testimonianza alla Verità. Dobbiamo recuperare un po’ di credibilità, non possiamo lasciare che il messaggio evangelico non venga preso in considerazione per l’inadeguatezza di qualche prete o di qualche vescovo e non possiamo continuamente trincerarci dietro il fatto che “siamo tutti uomini e peccatori”». Un recupero di una esperienza radicale e originaria di testimonianza, uno sguardo teso all’ultimo, al povero, al debole e ancora, un continuo affidarsi al modello d’imitazione di Cristo per rimanere lontani dai gravi peccati che purtroppo anche la Chiesa nella corso della storia si è macchiata più volte. Don Roberto chiede a tutti, partendo dai preti di periferia fino alla Santa Sede, di «provare a far capire a tutti che la Chiesa ha davvero a cuore i piccoli, i deboli, gli indifesi, che non sono solo i profughi, ma anche i ragazzi delle nostre Comunità. Confidiamo nell’azione di Dio, che guida la Sua famiglia e le permette di individuare il male e di estirparlo. Senza paure. Senza compromessi. Senza complicità».