La “misericordia” e il “perdono” non sono categorie esclusivamente morali, estranee allo stato laico di diritto. Ma lo strumento della “grazia” — atto di clemenza individuale più attento ai percorsi rieducativi — appare più idoneo a declinarle rispetto all'”amnistia”: provvedimento “di massa”, indifferenziato, a rischio di esiti sociali indesiderati sul piano del disincentivo a comportamenti illeciti. E’ il pensiero di Marcello Maddalena — procuratore generale di Torino — che in una conversazione con ilsussidiario.net osserva che la “pastorale della misericordia” di Papa Francesco ha sempre guardato al peccatore, non al peccato. Lo stesso atteggiamento di cuore da cui Maddalena ricorda di esser rimasto colpito ai funerali di Vittorio Bachelet, ucciso dalle Brigate rosse: “Il figlio sacerdote invitò a pregare anche per gli assassini”
Dottor Maddalena, papa Francesco in occasione del Giubileo ha chiesto un gesto di amnistia. Può una invocazione di “misericordia” come quella del papa essere accolta e modellata dal diritto?
Francamente non mi risulta che almeno in Italia il Giubileo abbia sempre costituito l’opportunità di una grande amnistia. Nel 2000 Papa Giovanni Paolo II la invocò con forza ma non venne concessa. La richiesta venne rinnovata nel 2002 ma solo nel 2006 si ebbe un provvedimento che non fu però di amnistia ma di semplice indulto. Ovviamente uno Stato laico come il nostro dovrà poi fare le “sue” valutazioni, di natura prettamente politica. Quanto alla “misericordia” ed al “perdono” ritengo che lo strumento più idoneo per praticare queste virtù da parte di uno Stato non sia tanto quello generalizzato dell’amnistia e dell’indulto che riguarda una moltitudine indifferenziata di persone (la gran parte responsabili di reati molto gravi o comunque ritenuti molto gravi dall’opinione pubblica), ma quello della “grazia”, provvedimento individuale che guarda alla singola persona, ne valuta il percorso di rieducazione, ne accerta il venir meno della pericolosità sociale. Ed anche se l’istituto non a tutti piace e un certo, sia pur minimo, impatto sull’efficacia deterrente in generale della pena la ha, certo è che la “misericordia” ed il “perdono” hanno qui un senso in quanto non si pongono in contrasto con le esigenze di sicurezza della collettività, ma trovano fondamento in un’effettiva rieducazione, non meramente teorica, se non addirittura in un reale “pentimento”.
Nel nostro ordinamento l’amnistia ha avuto due ambiti d’applicazione: uno è la ricomposizione delle grandi fratture sociali, come avvenne dopo la seconda guerra mondiale. L’Italia oggi ha bisogno di un’amnistia?
Personalmente sono contrario ai provvedimenti generalizzati di clemenza per le ragioni che ho sopra esposto. Tali provvedimenti possono avere una loro ragion d’essere quando si è in presenza di una grossa esigenza di “pacificazione” sociale (in genere dopo guerre civili o il passaggio da un regime ad un altro o dopo altri avvenimenti che provocano gravissime tensioni sociali) ed in cui quindi possono rappresentare lo strumento perché si torni ad una civile convivenza; negli altri casi possono addirittura avere, per consolidata esperienza, effetti criminogeni perché valgono a rafforzare il diffuso sentimento di sostanziale impunità che è ovviamente molto diffuso in un paese, come il nostro, il cui il rispetto della legalità non è proprio il valore più praticato.
L’altro ambito di applicazione è il mantenimento di uno strumento tipicamente “sovrano” nelle prerogative di un Capo della Stato eletto, anche se sempre all’interno dei meccanismi democratici. Dal 1990, in ogni caso, l’amnistia non è più stata concessa. Al di là del contesto meramente politico, l’amnistia è ancora uno strumento compatibile con le democrazie bipolari, molto competitive al loro interno?
Di per sé l’amnistia è compatibile con tutte le democrazie, bipolari o meno: peraltro, in ogni tipo di democrazia, spesso sortisce effetti distorti perché si traduce in non effettività della pena e non certezza del diritto e finisce con il premiare il delinquente con danno e scorno di chi osserva scrupolosamente la legge.
E va d’accordo con il cambiamento della visione della giustizia penale? Un tempo il “grande criminale” cui veniva concessa a un certo punto clemenza era tipicamente l’omicida. Oggi può essere un condannato per gravi reati economico-finanziari… Che ne pensa?
In realtà, salvo l’immediato periodo post bellico, gli omicidi hanno storicamente goduto solo di sconti di pena, non di amnistie. Alcuni reati sono stati poi sempre esclusi dai provvedimenti di amnistia (quasi mai di indulto): al riguardo la valutazione va quindi fatta provvedimento per provvedimento, non in astratto. Può solo ribadirsi, in via generale, che i provvedimenti di clemenza generalizzati, comunque si chiamino (amnistie, indulti, condoni di vario tipo: generali, fiscali, edilizi, valutari), hanno l’effetto di scoraggiare gli onesti dal continuare a rispettare le regole, perché rappresentano una vittoria di chi le viola contro lo Stato che ne dovrebbe assicurare l’osservanza.
Papa Francesco lancia un appello “esterno” per l’amnistia mentre decide una stagione di “perdono” all’interno della Chiesa per un peccato come l’aborto (che nell’ordinamento italiano, sotto certe condizioni, è un reato). Quali sono le sue reazioni?
Non mi permetto assolutamente di esprimere qualsiasi valutazione sulle decisioni del Papa all’interno della Chiesa, dove, peraltro, mi sembra che abbia sempre operato una rigorosa distinzione tra peccato e peccatore, mai dimostrando indulgenza per il primo — men che mai per quelli che costituiscono anche reato all’interno della società civile — ma solo cristiana comprensione e cristiano perdono per il peccatore pentito. Sotto questo profilo mi è venuta in mente la figura del figlio (sacerdote) del grande Vittorio Bachelet che, durante la cerimonia funebre del padre assassinato dalle Brigate rosse, pregò ed invitò a pregare anche per i suoi assassini.
Nella sua iniziativa il Papa è certamente attento anche alle condizioni di molto detenuti: non solo in Italia, ma, verosimilmente, anzitutto nel Sud America da cui proviene. E’ corretto immaginare l’amnistia/indulto come “strappo” eccezionale per obbligare le civiltà giuridiche contemporanee a riflettere più in fretta sul ruolo della carcerazione?
Che si imponga una riflessione sul ruolo della pena e della pena detentiva in particolare, limitandola ai soli casi in cui rappresenta l’unico efficace metodo di difesa della società da persone realmente pericolose, non vi è assolutamente dubbio; ma non si può non constatare come finora nessuno Stato sia mai riuscito, in nessun tempo e in nessun luogo, a prescinderne: e ciò per limitare i delitti in danno degli onesti. E’ chiaro che sono auspicabilissime le alternative: che però debbono essere realmente efficaci e quindi dissuasive. E questo non è facilissimo.
Ma il perdono ha o non ha anche un valore civile?
Sicuramente il perdono ha un valore civile essenziale perché, senza di esso, l’uomo sarebbe sempre “homini lupus“; in altre parole, facilita enormemente la convivenza pacifica tra gli esseri umani che altrimenti sarebbero sempre l’un contro l’altro armati. Ma è un valore che deve entrare soprattutto nel costume e nella pratica quotidiana degli individui; trasferito alle istituzioni (e salvo quello che ho detto a proposito della grazia) rischia di rappresentare un segno di debolezza che finisce per favorire i prepotenti a detrimento dei più deboli. Si ricordi che il rigore nella applicazione delle regole favorisce sempre i più deboli mai i più forti, gli umili e i miti e non i sopraffattori e i violenti.