Che le figlie si vergognassero del giovanilismo delle madri già lo sapevamo, più di un’indagine è stata condotta al riguardo confermando il dato. Molti giornali se ne sono occupati nelle pagine di costume. Non sapevamo ancora, però, se lo stesso valesse anche per il rapporto fra padri e figli, seppure ci fossero buoni motivi per sospettarlo. Una ricerca on line citata recentemente dal The Guardian in UK sembra finalmente aver dato oggettività a questa sensazione: i ragazzi detestano sì i padri che si vestono da teenager, ma soprattutto quelli che parlando utilizzano il loro slang.
I tempi sono davvero cambiati: la mia generazione, a volte, trovava imbarazzanti i padri troppo old-fashion, dall’aspetto retrò e fuori moda. Per intenderci: le canottiere bianche a costine d’estate o i sandali con le calze. Adesso invece sembra sia l’esatto opposto: ciò che imbarazza i giovani è avere adulti che usano “ci-sta-tutta”, “bella-zio”, “oh-ma-ce-la-fai”, “ti-ripigli”, per mostrare meno anni di quanti ne hanno in realtà. Ancora più che all’abbigliamento da teen, sembra infatti sia sempre più frequente il ricorso a un codice linguistico davvero lontano, almeno dal punto di vista anagrafico, fino a sembrare forzato e inopportuno.
È questo l’esito di quel progressivo processo di infantilizzazione dell’adulto che è occorso in modo accelerato negli ultimi anni. Nel mondo anglosassone è stato recentemente coniato il termine “Kidults”, ottenuto dalla crasi di kids e adults, ragazzi e adulti, riferendosi in particolare ai quarantenni che vivono in casa coi genitori come se fossero ancora adolescenti (in particolare nei magazine si parla dei kidults italiani). Il termine potrebbe però essere esteso senza difficoltà anche ai padri della survey, quelli che mettono in imbarazzo i figli, per il percepirsi, prima ancora che mostrarsi, come eterni adolescenti.
Le conseguenze dal punto di vista antropologico ed educativo non si fanno certo mancare, le abbiamo sotto gli occhi ogni giorno: uomini smarriti, che hanno bisogno di conferme dai propri ragazzi, timorosi della perdita del loro amore. E anche uomini sempre stanchi e lamentosi, per cui il lavoro è solo una fatica necessaria, se non una vera e propria maledizione, uomini terrorizzati di invecchiare e narcisisti, uomini insoddisfatti che se tornassero indietro cambierebbero tutto, ma proprio tutto.
“Una mamma per amica” è stata una celebre fiction televisiva di qualche anno fa, la tentazione ora è proporsi come padre amico, secondo una concezione erronea di amicizia intesa come condivisione di insicurezze e fragilità, livellamento generazionale. Occorrerebbe chiedersi chi sia invece quel padre amico da augurarci personalmente e di cui c’è tanto bisogno. Anzi, amico di chi o di che.
Non è certo tale chi diventa connivente o complicemente permissivo verso i propri figli, lo è innanzitutto chi è amico della fortuna della sua donna. Ossia chi desidera che la sua compagna si arricchisca nel e tramite il rapporto con lui, come col resto dell’universo. Chi collabora insieme a lei per la realizzazione dei desideri e il successo di entrambi. È infatti dalla solidità del rapporto uomo-donna, o almeno dalla sua forma rispettosa e amorevole, che i più giovani traggono beneficio più che da ogni altra cosa.
E poi c’è bisogno di un padre amico del pensiero dei ragazzi, ossia di chi sa riconoscerli portatori di desideri e apprezza quella individuale bussola di orientamento nel reale che è il giudizio personale su ciò che accade. Accettandone la libertà senza esimersi dal giudicarla lui stesso. Ecco, un padre così amico diventa davvero desiderabile. Anzi un padre così, “ci-sta-tutta”.