“Era così difficile trovare un modello con la pelle scura?” scrive in un post su Tweet l’attore e modello canadese Avan Jogia, di origine indiana. Post che scatena gli attacchi: “offensivo” e “irresponsabile”. Addirittura. Destinataria degli insulti è l’azienda di moda Gucci, che durante la sfilata dei suoi modelli alla settimana della moda in corso in questi giorni a Milano ha proposto una inedita accopiata evidentemente ispirata allo stile indiano: modelli con classici abiti pantaloni e giacca ma con in testa un turbante, copricapo tipico di quelle zone. Ha però commesso un errore imperdonabile per i politicamente corretti, aver fatto sfilare col turbante solo ragazzi di pelle bianca e non di colore, ovviamente indiani. Jogia non si è fermato qui e ha scritto un secondo post invitando tutti i modelli di colore “alla rivolta”: “Per favore, voi altra gente di colore, questo succede a tutti noi, dite qualcosa anche se non è la vostra razza”.
Sotto accusa il direttore creativo dell’antica azienda italiana, Alessandro Michele, accusato di aver incorporato i turbanti nella sua collezione segno di “rapina culturale”. Viene da pensare che se fossero stati usati invece modelli di colore l’azienda sarebbe stata attaccata per aver “umiliato la razza indiana”… Il vero problema, hanno fatto notare alcuni, è che il turbante non è un semplice copricapo. Per il popolo Sikh che lo usa come simbolo religioso, la sfilata ha rappresentato una offesa per la loro religione. Inoltre i Sikh sono una minoranza spesso attaccata e il turbante è quello che viene preso di mira come appunto simbolo religioso: “Usare turbanti finti è molto peggio che vendere capi firmati Gucci falsi” è stato detto. Recentemente a Londra un Sikh è stato picchiato da alcuni razzisti non poco lontano dal Parlamento inglese. Ma anche in questo caso, nessuno ha mai protestato quando molti stilisti prendevano di mira la religione cattolica, usando finti sacerdoti e finte suore anche con abiti sessualmente espliciti.