Ieri i cardinali convenuti a Roma per il conclave hanno celebrato messa nelle chiese di cui portano il titolo. Molte delle celebrazioni sono state presidiate da telecamere e giornalisti, nel tentativo di cogliere il gesto o la parola più rivelatori del porporato «papabile». I nomi circolano da giorni su tutti i giornali, si soppesano gli orientamenti dei principali gruppi, le loro strategie. Ma molte, troppe semplificazioni si sono lette in questi giorni: «è l’ermeneutica della vita cattolica, espressa in termini di “progressisti/conservatori”, iniziata al Concilio Vaticano II e che ha causato da allora confusione ogni volta che si parla della Chiesa». A dirlo è George Weigel, teologo laico americano, tra i massimi interpreti del cattolicesimo contemporaneo, noto per i due monumentali studi dedicati a Giovanni Paolo II (Testimone della speranza, 1999, e La fine e l’inizio, 2010). Ecco la posta in gioco di questo Conclave secondo Weigel.
Cosa pensa del modo in cui i media hanno descritto e commentato l’incontro e il lavoro dei Cardinali dopo la rinuncia di Benedetto XVI e in occasione delle Congregazioni generali?
Nei media italiani il confine tra fatti e invenzione sembra essere diventato ancor più permeabile. Questa situazione, e la sconsiderata pubblicazione da parte de La Stampa di conversazioni trapelate dalla Congregazione generale, hanno messo la stampa italiana in cattiva luce. In generale, molte cronache sull’interregno tendono a far risaltare i soliti preconcetti sulla Chiesa e sul Papato: la Chiesa ha delle sue politiche (no, ha insegnamenti e convincimenti); queste politiche possono cambiare (vi sono molte cose che possono e devono cambiare nella Chiesa, ma non gli articoli di fede); il Papa può cambiare ciò che vuole e dovrebbe farlo per rendere la Chiesa più «moderna» (il Papa è il custode della tradizione della fede cattolica, non il suo padrone, e perché mai la Chiesa cattolica dovrebbe seguire l’esempio di quelle morenti comunità cristiane che hanno fatto proprio lo Zeitgeist moderno, il moderno spirito del tempo?). Tutto questo riflette l’ermeneutica della vita cattolica, espressa in termini di progressisti/conservatori, iniziata al Concilio Vaticano II e che ha causato da allora confusione ogni volta che si parla della Chiesa. Perché confusione? Perché queste categorie portano a prendere in considerazione solo la superficie del cattolicesimo.
E cosa pensa invece del modo in cui il Vaticano ha comunicato con l’esterno?
A mio parere è stato un grave errore la chiusura delle conferenze stampa dei cardinali americani, che rappresentavano invece una fonte di storie positive sulla Chiesa. E non riesco a capire perché padre Lombardi parli come se fosse un giornalista de L’Osservatore Romano del 1955.
Secondo le principali ricostruzioni (come quella del quotidiano Repubblica) i cardinali sono divisi in due gruppi: i «riformatori» (tra i quali i cardinali statunitensi e l’italiano Angelo Scola) in opposizione al gruppo della Curia. Che ne pensa?
Penso che vi sia una dinamica nel Conclave, che definirei come una questione di Vecchia Chiesa verso Nuova Chiesa, Chiesa istituzionale di mantenimento verso Chiesa per una nuova evangelizzazione.
Cosa suggeriscono il pontificato di Giovanni Paolo II e quello di Benedetto XVI, letti in un’ottica provvidenziale, ai cardinali che domani entrano nella Cappella Sistina?
Con il Vaticano II, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, la Chiesa ha completato la sua svolta nella Nuova Evangelizzazione, o quella che io chiamo, nel mio nuovo libro Cattolicesimo Evangelico, una Chiesa che si concepisce come una comunione di discepoli in missione. Molti dei cardinali che entreranno nella Cappella Sistina hanno capito questo cambiamento, altri non lo hanno capito, qualcuno lo ha capito e vorrebbe fermarlo. Ma il movimento «nel profondo», come dice Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte, continuerà, perché è il solo futuro per la Chiesa cattolica. In un ambiente culturale ostile, la Chiesa deve proporre il vangelo in modo vigoroso, e viverlo in modo radicale. Entrambi questi compiti richiedono, tra le altre cose, una profonda riforma della cultura e della prassi della Curia romana.
Qual è la sfida più grande che attende il nuovo Papa? La fede, la missione, il governo della Chiesa? Crede che le Congregazioni generali abbiano realmente gettato luce su questo problema?
Dato che non prendo parte a violazioni di giuramento, come certi vaticanisti italiani, io non so cosa sia successo nelle Congregazioni generali o su che cosa sia stata gettata una luce, ma la questione essenziale per la Chiesa, oggi, è la fondamentale domanda posta nel Vangelo: «Quando il Figlio dell’Uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla Terra?» Se capiamo che questa domanda è prioritaria, allora diventa molto più chiara l’urgenza di un fervore missionario, di evangelizzazione, e la necessità di rimettere in sesto il governo centrale della Chiesa.
Nel suo ultimo libro (Cattolicesimo Evangelico, ndr) lei parla della necessità di una Riforma evangelica. Che cosa intende?
Intendo una riforma, un ricupero della «forma» che ha originato la Chiesa, che metta «l’amicizia con Gesù Cristo» (Benedetto XVI), che è la verità del mondo e della condizione umana (Dei Verbum e Lumen Gentium), al centro della vita di una Chiesa di discepoli missionari (Redemptoris Missio e Novo Millennio Ineunte), nutriti dalla Parola (ancora la Dei Verbum) e dal sacramento (Sacrosanctum Concilium) nel lavoro per convertire il mondo e guarire le ferite di società e culture lacerate (Gaudium et Spes).
Qual è il monito che viene al Conclave dagli scandali che hanno ferito la Chiesa negli ultimi tempi − per esempio gli scandali sessuali negli Stati Uniti degli anni 90, Vatileaks oggi in Italia? Possono condizionarlo?
La missione della Chiesa è ostacolata da crimini e cattivi comportamenti che sono l’antitesi di ciò che la Chiesa proclama. La Chiesa non può proclamare la verità del Vangelo, se il clericalismo e il nepotismo, gli scandali finanziari e sessuali, continuano a sfregiare la faccia della Chiesa. Questi problemi devono essere affrontati e presi gli opportuni rimedi, cosicché la missione possa continuare. Oggi vi sono sufficienti ostacoli «esterni» alla missione cristiana perché si possa evitare di affrontare gli ostacoli «interni».
Ai media piace considerare l’ipotesi di un Papa nero o di un Papa del Terzo mondo: è solo una suggestione del politically correct?
La nazionalità e la razza non dovrebbero avere nulla a che vedere con l’elezione di un Papa, né ora, né in futuro.
Qual è il Pontefice che lei, come cattolico, attende?
Un Papa che faccia sua, nella persona e nelle parole, la Nuova Evangelizzazione, un Papa missionario che abbia l’accortezza di scegliere un Segretario di Stato competente per riformare il governo centrale della Chiesa, immettendovi persone appassionate e competenti, e che sappia gestirlo con efficienza.
(Federico Ferraù)