Chissà se la sconfitta di Hillary Clinton alle presidenziali americane, il suo sogno svanito di oltrepassare il muro di cristallo porterà alla revisione dell’immagine della donna che va per la maggiore? La donna colta, intraprendente, decisionista è stata ed è il modello che non solo si è realizzato in Hillary Clinton, ma che è stato ed è costantemente indicato dalla stampa, dal cinema, dalle reti televisive, da ogni parte.
Due persone molto diverse tra loro hanno offerto nei loro scritti una visione della donna che poco si concilia con quella figura.
Cesare Pavese, dal fondo di una solitudine mai superata, scrive: “Il talento femminile è un talento innato, una disposizione originaria, un assoluto virtuosismo a conferire al finito un senso. La donna concilia l’uomo e se stessa col mondo, è in armonia con l’esistenza in una misura che l’uomo non conosce. Poiché la donna spiega la finitezza, essa è la vita profonda dell’uomo: una vita tranquilla e nascosta, come è sempre quella delle radici”. Affermazioni talvolta apodittiche, ma non prive di quella poesia che spinge alla riflessione.
Joseph Ratzinger, allora arcivescovo di Monaco, propone ai suoi fedeli un ciclo di meditazioni nel corso dell’anno liturgico e solare. Commentando l’atmosfera tiepida e profumata del mese di maggio scrive: “La paura sbagliata di ciò che è pagano, che paralizza la fede cristiana, non ha solo limitato il sentimento e troncato il legame della fede con la natura, ma ha soprattutto tolto alla donna il posto che le spetta nel tessuto cristiano. L’emancipazione, così come è propagandata oggi nell’ambito delle culture tecnologiche, è la richiesta che anche le donne, finalmente, diventino uomini. Così non si consegue la parità, ma la definitiva repressione della donna da parte di una civiltà che, con il dominio assoluto della tecnica, produce la repressione della natura e, al tempo stesso, la repressione della donna, perchè fra esse c’è uno stretto legame”. Il futuro Benedetto XVI, oggi papa emerito, fonda queste osservazioni dentro un ambito più vasto, che tratteggia il rapporto tra cristianesimo e mondo pagano, di ieri e di oggi.
La vita delle radici, della terra dalla quale trarre il nutrimento è affidata alla donna, fin da quando il bambino è chiuso nel grembo. E lì cresce fino a quando verrà alla luce e sarà nutrito al seno di sua madre. Non a caso il termine latino stirps indica proprio la radice dell’albero, prima di diventare in senso traslato l’italiano stirpe, discendenza. Ecco dove pesca il legame tra la natura e la donna al quale accenna Ratzinger. Una vita tranquilla e nascosta, per usare le parole di Pavese, al riparo dal vento e dal gelo. Le insidie peggiori per ciò che esce da quel suolo.
E quanto lavoro impiega quella daedala tellus, quella terra operosa per usare l’espressione di Virgilio, anche solo per un germoglio. La natura è fatta così. Ma se donna e natura hanno tra loro uno stretto legame, come afferma Ratzinger, quanto è necessaria la consapevolezza di questa operosità silenziosa, dell’onore di custodire la vita e di attingere alla profondità di ciò che esiste.
Sono state necessarie molte lotte per giungere a far sì che la donna occupi oggi più di ieri ruoli importanti nella vita sociale e politica, artistica ed economica. Ma, senza oscurare affatto la positività di tali traguardi, essi appaiono secondari e in teoria non contraddittori con il compito primario che deriva alla donna direttamente da come la natura l’ha voluta. In pratica chiunque osservi le sue vicine in tram alla sera, può accorgersi della stanchezza, del disordine, della frenesia di parole e gesti di chi ha trascorso la giornata intera fuori casa e ora prevede di doversi tirare su le maniche per la sera. Come sperare per loro un attimo di calma? Come sperarlo per le manager, le donne in carriera che non prendono il tram e la cui serata sarà forse riempita da ulteriori impegni?
Non si tratta di guardarsi allo specchio e risistemare qualcosa. Anche. Ma soprattutto forse di ritrovare una bellezza che viene dal di dentro, che può stare insieme alle rughe e ai capelli in disordine. Una bellezza che viene dalla natura e che va coltivata, custodendo il suo segreto, la sua dignità fatta di un silenzio che permea anche le parole, la sua resistenza alle fatiche quotidiane.
E’ un augurio non del tutto ingenuo che dalla sconfitta di una donna mascolina nasca almeno un interrogativo sulla natura concreta, non idealizzata, del contributo femminile al bene del mondo.