Inutile. Anche se lo sappiamo che l’autorità giudiziaria è fallace perché, semplicemente, è umana, e che la vera giustizia non è di questa terra, non ci abitueremo mai ai fallimenti della giustizia stessa, anzi alle defaillances, come le ha chiamate la Quinta Sezione della Suprema Corte di Cassazione nelle motivazioni per l’assoluzione data il 27 marzo scorso ad Amanda Knox e Raffaele Sollecito dall’accusa di omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher avvenuto a Perugia nel 2007.
Accusa per la quale la Knox e Sollecito si sono fatti quattro anni di carcere, a cui occorre aggiungere quattro anni di attesa, che immaginiamo non proprio tranquilla, di quest’ultima sentenza della Cassazione. Otto anni. Per dire che non c’erano prove “da evidenza oltre il ragionevole dubbio” di una colpevolezza comunque scontata. Otto anni di vita che getteranno per sempre un’ombra su tutto il resto dell’esistenza di due persone, a questo punto si può dire, innocenti.
La motivazione in realtà è molto più pesante: quello delle indagini, leggiamo, è stato “un iter obiettivamente ondivago, le cui oscillazioni sono, però, la risultante anche di clamorose defaillance o ‘amnesie’ investigative e di colpevoli omissioni di attività di indagine”. Sembra di sognare. E ancora si dice che è un dato “di indubbia pregnanza” a favore di Knox e Sollecito – “nel senso di escludere la loro partecipazione materiale all’omicidio, pur nell’ipotesi della loro presenza nella casa di via della Pergola” – la “assoluta mancanza di tracce biologiche a loro riferibili” nella stanza dell’omicidio o sul corpo della vittima, mentre di tutto il processo si dice che è stato un “percorso travagliato ed intrinsecamente contraddittorio”.
Ce n’è anche per l’informazione, citata nella motivazione come “inusitato clamore mediatico”; questo e i “riflessi internazionali” derivati dall’identità dei protagonisti sono elementi che non hanno “certamente giovato alla ricerca della verità”. Anzi, e qui siamo al teatro dell’assurdo, tutto ciò ha provocato una “improvvisa accelerazione” delle indagini “nella spasmodica ricerca” di colpevoli “da consegnare all’opinione pubblica internazionale”.
Dunque, riassumendo per chi non si intende di linguaggio da giurisprudenza, la Suprema Corte dice che chi ha fatto le indagini non aveva prove, che gli investigatori hanno avuto amnesie e omissioni “colpevoli” (sic) e che la condanna ci fu anche per dare in pasto all’opinione pubblica internazionale due colpevoli purchessia.
Mi dispiace, ma questa è roba da repubblica delle banane. Viene da porsi qualche domanda: ma che ne sarà ora di questi pm capaci di “colpevoli omissioni” e di questi giudici che condannano influenzati dal clamore mediatico (clamore mediatico che comunque non ci sentiamo di condannare del tutto, perché almeno in questo caso siamo venuti a conoscenza di un percorso giudiziario ingiusto a livello inaudito)? Domanda retorica: niente. Ma costoro stanno ancora lavorando?
E che ne è di tutti gli altri su cui hanno indagato e che hanno condannato? Possiamo mettere la mano sul fuoco, a questo punto, che in galera ci siano solo colpevoli?
E poi il tempo: anni e anni (a me sembra eccessivo persino il tempo trascorso tra l’assoluzione della Cassazione, avvenuta a marzo, e il deposito delle motivazioni, a settembre!), e poi i soldi. Chi paga tutto questo? Noi e, certo, chi deve difendersi da accuse basate su prove neppure “ragionevoli”. A questo racconto sbigottito della realtà dei fatti non si riesce ad aggiungere neppure un commento in più. È avvilente. Siamo così avanti nella desolazione che perfino la riforma della giustizia, che nessuno però sembra riuscire a fare, anche se fin troppo meditata e tardiva potrebbe non servire proprio a nulla.