Prima morte accertata in Europa per lo shock settico in seguito all’assunzione della Ru486. Una ragazza portoghese di 16 anni è stata uccisa dalla pillola abortiva dopo che le ha causato un’infezione di Clostridium Sordellii, un batterio che non lascia scampo nelle donne che si sottopongono ad aborto farmacologico. Una relazione, quella tra RU486 e shock settico, ben nota nel Nord America. Secondo il New England Journal of Medicine, finora sono state accertate nove morti per tale causa, di cui otto negli Stati Uniti e una in Canada (dieci se si calcola anche un decesso per emorragia), cui ora si aggiunge un’altra vittima in Portogallo. Un episodio drammatico, che impone, per l’ennesima volta, una riflessione sull’utilizzo della famigerata Ru486. Ne abbiamo parlato con Francesco D’Agostino. Lunedì Ilsussidiario.net pubblicherà un’intervista esclusiva a Monty Patterson, padre della 18enne Holly, la prima donna al mondo la cui causa di morte accertata è stata uno shock settico in seguito all’assunzione della pillola abortiva.
Entriamo subito nel merito: professore, qual è la sua opinione sulla Ru486?
In astratto si potrebbe pensare che una volta che l’aborto è legalizzato, qualunque metodo si equivalga. In concreto non è così. Ci sono tecniche che, obiettivamente, favoriscono la pratiche abortive – è questo è il caso della Ru486 – e altre che, invece, mantengono nella donna e nel medico la consapevolezza che l’aborto, di per sé, non ha un valore, né morale, né socio-giuridico. E’ semplicemente reso legale dalla legge in virtù del prevalente interesse fisico, psichico o sanitario della donna stessa. La questione bioetica sull’aborto si gioca tutta su questo punto. La 194 legalizza l’interruzione di gravidanza, senza considerla un diritto assoluto. Ecco perché un metodo che banalizza l’aborto come la Ru486, a mio avviso, è da guardare con molta preoccupazione.
La 194 prevedeva, con il ricovero ospedaliero, che il dramma della soppressione di un feto assumesse, quantomeno, una dimensione collettiva. Con la Ru486, la donna è sola di fronte a tale dramma.
La parola solitudine è appropriata ma va interpretata. Non c’è dubbio che, usando la pillola, la donna possa chiudersi in casa e abortire in assoluta solitudine, senza avvisare nessuno di quello che sta facendo. E’ anche evidente che è proprio questo che desiderano molte donne: far calare sull’aborto una cortina di assoluta e invalicabile riservatezza.
La riservatezza è sicuramente un valore, ma mai come nel caso dell’aborto si rivela profondamente ambigua; perché la donna, chiudendosi nel proprio privato, mette profondamente a rischio la propria salute e manda, indirettamente a se stessa e al mondo circostante, un messaggio di banalizzazione della pratica abortiva che non è accettabile. La donna che si sottopone all’intervento in una struttura pubblica è costretta a dimostrare che sussistano ragioni fisiche o psico-fisiche che lo giustifichino. Viceversa, la donna che si rinchiude in casa nella più assoluta solitudine, tali ragioni non le dimostra, potrebbe anche soprassedere all’aborto. Si sottrae, invece, a quel sussidio esterno che potrebbe indurla a cambiare opinione.
Cosa ne pensa di una società in cui l’aborto diventa un fatto privato?
Abbiamo nell’America il prototipo di tale tipo di società. Non dimentichiamo che, negli Stati Uniti, l’aborto non è mai stato legalizzato dalla legge. E’ stato avvallato dalla Corte suprema che lo ha riconosciuto come fatto privato che coinvolge esclusivamente la donna e il suo medico curante. E’ il trionfo di un modello sociale fortemente individualistico, in cui qualunque dimensione di tipo relazionale, qualunque logica di sussidiarietà e solidarietà è subordinata al valore indiscutibile dell’individualità. Ho i miei forti dubbi che una società così radicalmente individualistica possa sopravvivere. Tuttavia, negli Stati Uniti, ci sono segnali, seppur deboli e indiretti, in senso contrario.
Quali?
Nell’intervista che Hillary Clinton ha rilasciato a Lucia Annunziata in occasione della vicenda di Osama, ha detto che in quei minuti in cui attendevano notizie, lei e il presidente aspettavano e pregavano. E’ un segnale anti-individualistico formidabile. E’ la dimostrazione che nei momenti forti dell’esistenza non si riesce ad andare avanti da soli. Bisogna cercare appoggi al di fuori di noi. La Ru486 induce la donna e i medici a pensare che l’aborto sia un fatto talmente banale che si possa gestire come qualsiasi altra infermità, che si possa curare con un farmaco da banco.
La Ru486 è compatibile con la legge 194?
Se leggiamo la 194 come è scritta e per come abbiamo il dovere di leggerla, l’uso della pillola è illegittimo, proprio perché tale legge legalizza l’aborto in strutture pubbliche, garantendo che la donna sia continuamente sotto il controllo medico. Il medico potrebbe anche somministrare la pillola in ospedale o in clinica, ma dovrebbe tenerla sotto stretta sorveglianza finché il processo abortivo non è giunto a conclusione. In realtà, in alcune Regioni italiane, si ricorre ad un vero e proprio trucco: i medici somministrano la pillola e chiedono alla donna di restare in ospedale. Ma, poiché l’ospedale non è un carcere la donna, sotto la sua responsabilità, può chiedere di tornare a casa e finire la pratica abortiva a domicilio.
Quindi? Si contravviene alla legge?
In questo caso la legalità formale è garantita, perché il medico non ha un potere coercitivo per obbligare nessuno a rimanere in ospedale; ma lo stesso medico, nel momento in cui dà la pillola, può facilmente ipotizzare che la donna userà la sua facoltà per tornarsene a casa. Ci troviamo di fronte ad un uso ambiguo della 194 che ne contraddice la lettera e lo spirito; è una distorsione che, a mio avviso, andrebbe corretta con un intervento normativo caratterizzato da grande onestà intellettuale.
In cosa dovrebbe consistere l’intervento?
Potrebbe essere, paradossalmente, filo abortista. Sarebbe intellettualmente più onesto dichiarare che l’aborto non è una pratica pubblica; o, al contrario, proibire del tutto l’uso della pillola.
In Europa è il primo caso di morte accertata in seguito alla Ru486…
E’ la prima volta che in Europa si accerta un decesso a seguito dell’uso della Ru486. Ma negli Stati Uniti ne sono stati accertati diversi. Non dimentichiamo, inoltre, che, all’inizio fu utilizzata per il mercato africano, per favorire l’aborto in donne che vivevano in contesti in cui il ricovero ospedaliero era molto difficile e costoso. Diffondendo tra queste popolazioni l’uso della pillola si favoriva l’interruzione di gravidanza a costi limitatissimi. Ma non sappiamo quanti decessi ci possano essere stati. Proprio la lontananza di queste donne dalle strutture ospedaliere, rendeva impossibile verificare le cause di morti legate all’uso della pillola. Non abbiamo, quindi, dati concretamente rassicuranti a riguardo.
Quindi, quale sarebbe l’atteggiamento più corretto da parte della comunità scientifica e delle istituzioni europee?
L problema non è riducibile a livello statistico. Non possiamo metterci a fare dei macabri conteggi, per capire se siano maggiori i rischi di mortalità con la tecnica abortiva A, B o C. Il problema etico della pillola della RU486 è fondamentalmente simbolico. Il mondo occidentale deve, con grande e rara onestà decidere se vuole privatizzare radicalmente l’aborto scaricando esclusivamente sulla donna la decisione abortiva e il boomerang psicologico e morale che ne consegue, o se vuole restare negli argini – discutibili – secondi i quali l’aborto è una risposta tragica ma, in alcuni casi, non illegale, a reali problemi di salute psicofisica. E’ questa la grande alternativa.Se per una donna che ha una gravidanza plurima a rischio o ha ricevuto violenza carnale ci possono essere forti attenuanti, per i casi di donne che, invece, non hanno problemi fisici, sociali, o economici, la scelta abortiva è altamente deprecabile, dal punto di vista morale. In ogni caso, benché tutte le ragioni possano essere più o meno, umanamente, comprensibili, tali casi non possono essere risolti con quella che rappresenta la sostanza etica dell’aborto: l’uccisione della vita umana.
Allo stato attuale, è possibile “limitare” i danni?
Se l’argomento fosse trattato meno ideologicamente e si accettasse l’idea di introdurre adeguati aiuti economico-sociali molte donne potrebbero essere dissuase dall’aborto; il paradosso è che il filo abortisti più accaniti vedono come fumo negli occhi queste forme di sussidi, perché li considerano come una forma di limitazione dell’autonomia e della lilbertà delle donne.
(Paolo Nessi)