Caro direttore,
ho letto ieri la storia di Italo Spinelli, meccanico di Modena che, dopo la morte della moglie con la quale aveva condiviso la vita, si è laureato in filosofia nell’Università di Macerata, all’età di 82 anni. L’emergere dei grandi interrogativi intorno alla vita e al suo significato è stata la ragione per la quale Italo ha deciso di compiere questo percorso di studi, dopo che un tumore al polmone si è portato via in pochi mesi, dopo 52 anni trascorsi insieme, la moglie Angela: “Da quel giorno ho cominciato a chiedermi: La rivedrò?, Dove è finita?. O ancora: Ce l’abbiamo davvero un’anima?. Insomma, dovevo trovare una risposta alla morte di mia moglie”.
Si tratta del problema della verità e del significato che, anche dopo una vita intera, giornate trascorse, una dopo l’altra, per la traiettoria di un’esistenza, non può essere messo a tacere, perché costituisce il fondale di noi stessi, l’indicazione, in noi, della felicità. Allora al di fuori del significato e della continua e quotidiana ricerca di esso la vita non risponde alla chiamata per cui c’è e per cui continua ad esserci: il suo compimento, l’essere davvero sé stessa.
Ma c’è un’altra notizia di questi giorni che continua a permanere dentro l’orizzonte della mia attenzione e della mia memoria: la morte di Giada, una studentessa di 25 anni, fuori sede e originaria di Sesto Campano nel Molise, che, rimasta indietro con gli esami, nel giorno che invece doveva essere quello della sua laurea presso l’Università “Federico II” a Napoli, è salita sul tetto di un edificio e ha deciso così di togliersi la vita.
Senza entrare nelle misteriose motivazioni di un gesto come questo, mi immedesimo nel disagio e nel dolore di una ragazza che, probabilmente, non ha percepito, o incontrato, uno sguardo capace di accoglierla anche per i suoi fallimenti. Ma, forse, questo doloroso gesto rappresenta per ciascuno di noi la possibilità di chiederci qual è lo scopo per cui viviamo, in un contesto in cui tante vicende di fragilità e di dolore dimostrano la menzogna e la falsità del modello di vita in cui cresciamo e ci troviamo immersi. Un modello che ha nel successo e nella realizzazione di immagini e di strade, in cui riuscire grazie alle proprie capacità, il proprio fondamento. Ma, presto o tardi, per la delusione di sé in seguito a un fallimento, per l’incapacità che qualsiasi successo ha di renderci felici, per l’esperienza di una perdita e per la percezione della propria contingenza, presto o tardi, la vita dimostra la menzogna del potere e degli idoli davanti a cui il pensiero di oggi si inginocchia. Presto o tardi, allora, la vita chiede un significato all’altezza della nostra grandezza, all’altezza della profondità delle nostre domande.
Italo e Giada, il meccanico di Modena e la ragazza di Sesto Campano. Due studenti diversi, che ci ricordano il pozzo che siamo e che solo una risposta esauriente e totale può colmare. Quella risposta e quel significato che, speriamo, oggi Giada stia conoscendo e amando. E che Italo, con ciascuno di noi, sta continuando a ricercare.