Legittimisti, scissionisti, girati: le parti in campo nella faida di camorra che oggi conosce una nuova vitalità, ultimo episodio l’omicidio nel quartiere napoletano di Scampia del pregiudicato Raffaele Abete, sono almeno tre e si fronteggiano con fortune alterne. E con una ferocia pari all’altezza della paura che i clan riescono l’un l’altro a mettersi. D’altra parte, nel regno una volta incontrastato dei Di Lauro gli spazi degli affari si contraggono e non c’è spazio per tutti.
I proventi dello spaccio di droga diminuiscono anche per effetto di una più accorta politica di contrasto delle forze dell’ordine che hanno recuperato vigore e concentrato uomini in un luogo simbolo della criminalità urbana per molto tempo lasciato quasi ad autogovernarsi. Non che mancassero gli interventi quando necessario ma Scampia e i suoi particolari caseggiati a forma di vela, veri e propri bunker di cemento armato con scappatoie note solo agli assidui frequentatori, meritano un’attenzione costante.
E l’attenzione è tornata per l’aumento del numero dei morti ammazzati, segno che gli equilibri si stanno rompendo, e la conseguente ferma intenzione della Prefettura di Napoli di non lasciarsi cogliere alla sprovvista da un’eventuale ripresa della guerra criminale che sembrava vivere giorni di tregua. Sotto la cenere di un’apparente normalità – e mentre il presidente della Regione Stefano Caldoro progetta di costruire nell’area un grande Policlinico come rimedio allo squallore – i clan non hanno mai smesso di imporre la propria legge.
Il fatto, secondo gli esperti della materia, è che la grande enfasi posta dall’opinione pubblica e dagli inquirenti sulla lotta ai Casalesi – Sandokan e compagnia bella -, per effetto anche e forse soprattutto della fortunata saga di Gomorra firmata da Roberto Saviano, ha lasciato che il massimo impegno investigativo fosse dirottato nelle zone interne del Casertano. Da qui si governa il traffico dei rifiuti tossici – provenienti soprattutto dal Nord – con grande guadagno per i malavitosi e con incalcolabile danno per l’ambiente e la popolazione.
Il problema è molto serio. E riguarda la vastità e la profondità degli interessi in gioco. Una fetta troppo grande dell’economia campana sfugge alle leggi dello Stato che fatica a coprire tutti i fronti scoperti. Un corpo imprenditoriale privato debole, inoltre, con una credibilità delle associazioni rappresentative vicine allo zero, si accompagna alla maggiore crisi dell’attività pubblica che mai si ricordi per effetto delle manovre indotte dal rigore e dalla rigidità di un corpo burocratico che fatica ad adeguarsi ai tempi nuovi.
Insomma, sembra proprio di trovarci di fronte al dilemma della coperta troppo corta: da qualunque parte la si tiri, ci sarà sempre una porzione più o meno vasta del corpo che rimarrà senza riparo. Allungare la coperta si può? Ecco, questa è la domanda che meriterebbe una risposta non demagogica e quindi vera. A questo punto entrano in gioco gli uomini e le cosiddette classi dirigenti che al Sud, quindi anche a Napoli, qualcuno sostiene non riescano a farsi èlite: capaci, cioè, di affrontare e risolvere questioni di bene comune.