Avrebbe dovuto insegnare Psicologia agli studenti dell’Istituto professionale Luigi Einaudi di Roma, ma dopo le polemiche ha preferito rinunciare alla cattedra. Giovanni Scattone, condannato per l’omicidio di Marta Russo, la giovane uccisa il 9 maggio del 1997 nei cortili dell’università La Sapienza, dopo aver scontato la pena ha potuto ricominciare l’attività di docente ed è diventato di ruolo grazie alle assunzioni della Buona Scuola. Il caso, sollevato dal Corriere della Sera, aveva però scatenato le polemiche. “Se la coscienza mi dice di poter insegnare, la mancanza di serenità mi induce a rinunciare all’incarico per rispetto degli alunni che mi sono stati affidati”, spiega Scattone, le cui parole sono riportate dal quotidiano di via Solferino. “Ho rispettato, pur non condividendola, la sentenza di condanna. Quella stessa sentenza mi consentiva, tuttavia, di insegnare. Ed allora sarebbe stato da Paese civile rispettare la sentenza nella sua interezza”, aggiunge l’ex assistente universitario. “Ho sempre ritenuto che per essere un buon insegnante si debba anzitutto essere persona serena. Oggi, in ragione di queste polemiche, non ho più la serenità che mi ha contraddistinto nei dieci anni di insegnamento quale supplente” e per questo ha deciso di rinunciare. “Anche oggi – conclude Scattone – vivrò con la speranza che un giorno la parte sana di questo Paese, che pure c’è ed è nei miei tanti ex alunni che in questi giorni mi sono stati vicini e nella gente comune che mi ha manifestato tanta solidarietà, possa divenire maggioranza”. Soddisfatta la madre di Marta Russo che aveva reagito duramente alla notizia diffusa qualche giorno fa: “Ha fatto l’unica cosa giusta da farsi, non perché non debba lavorare ma non può educare”, ha commentato.